I colori delle stelle…

La parte visibile dello spettro elettromagnetico è la base di partenza per l’osservazione del mondo che ci circonda. E’ qui che l’uomo ha iniziato molte migliaia di anni addietro a volgere lo sguardo al cielo ad occhio nudo, osservando le meraviglie cosmiche. Ancora oggi resta il punto di riferimento per le ricerche che vengono svolte in tutte le restanti bande dello spettro stesso. La banda visibile ospita la maggior parte delle stelle e sebbene molti scienziati ed ingegneri stiamo trovando modi ingegnosi per sfruttare le altre bande, restano ancora molti segreti da svelare nel visibile.

Nebulosa della Tarantola

Prima delle osservazioni radio fatte negli anni 30, gli scienziati non erano nemmeno a conoscenza dell’Universo nascosto oltre il limite del visibile. Per molti anni esisteva tra gli astronomi una specie di miopia che li portava ad essere definiti come gli sciovinisti della luce visibile. Comunque la componente visibile dello spettro è ricca di informazioni perchè le sue lunghezze d’onda sono visibili naturalmente grazie ai processi di evoluzione naturale che hanno forgiato le connessioni tra i nostri occhi e la luce solare. I nostri occhi sono biologicamente sintonizzati per essere sensibili la dove il sole è più brillante.

Dettaglio della banda visibile

Sebbene la banda visibile sia la più piccola tra le bande spettrali, abbiamo familiarità con le sue diverse componenti. Le conosciamo con i nomi dei colori che i nostri occhi riescono a percepire.

Componenti della banda visibile

Guardando il cielo notturno è possibile ma non facile distinguere i diversi colori delle stelle. Aldebaran, l’occhio del toro è di colore rosso, Rigel, il piede destro di Orione è blu.

Lo standard delle sette classi spettrali delle stelle contempla i colori che vanno dal blu al rosso. I colori sono pastello e non molto saturi.
Aldebaran è classificata come stella ti tipo K
Rigel è classificata come stella di tipo B

Le stelle sono sfere gassose che irradiano in un modo caratteristico che è frutto della loro temperatura vicino alla superficie. Questa peculiarità viene descritta dalla radiazione di corpo nero.

Il 14 dicembre del 1900, durante un incontro organizzato dalla Società di Fisica Tedesca, Max Planck presentò un saggio su “La teoria della distribuzione dell’energia in uno spettro normale”. Questo scritto, che all’inizio non ricevette particolari attenzioni, prefigurava, in realtà, una rivoluzione nel campo della fisica, segnando la nascita della meccanica quantistica.
Le osservazioni di Planck traggono origine dallo studio delle proprietà della radiazione termica, cioè della radiazione emessa ed assorbita da un corpo in virtù della propria temperatura; più precisamente, lo scienziato tedesco studiò la radiazione emessa da un particolare tipo di corpo, il cosiddetto “corpo nero”, che emette una radiazione con uno spettro di carattere universale, mentre, in generale, lo spettro dipende dalla composizione del corpo in questione.
Un corpo si dice “nero” quando assorbe tutta la radiazione incidente su di esso; il nome è sicuramente appropriato perchè tali oggetti non riflettono la luce ed appaiono di colore nero quando la temperatura è sufficientemente bassa per impedire che brillino di luce propria.

Il Sole ha una temperatura superficiale di circa 5500°C e il suo colore è piuttosto simile a quello di un corpo nero di 5500°C. Vi sono però piccole differenze che sorgono a causa di una varietà di processi derivanti dalla composizione chimica specifica della nostra stella. Pochi oggetti nell’universo si irradiano come un corpo nero ideale.

Il Sole osservato alla lunghezza d’onda dell’idrogeno alfa.
Spettro della radiazione solare.

Se cerchiamo di stampare il colore della temperatura di corpo nero del Sole (al netto dei problemi tecnici di stampa e dal punto di bianco scelto nella carta) esso assomiglierebbe ad un rosa pesca, diversamente dal bianco o dal giallo che vedremmo se scioccamente volessimo fissare il Sole ad occhio nudo senza utilizzare dei filtri solari.

Se i nostri occhi non fossero accecati dalla sua luce intensa, il colore del Sole apparirebbe leggermente color rosa pesca come mostrato in questo rettangolo.

Il colore di una stella dipende dalla sua temperatura, che determina la lunghezza d’onda del picco del suo spettro, secondo la legge di Wien.

Solamente pochi tipi di stelle hanno temperature del corpo nero che raggiungono il picco nell’intervallo del visibile, tuttavia la gran parte della luce proveniente da tutte le stelle risulta visibile ai nostri occhi.

Il fatto che il picco della stella cada nello spettro del visibile, significa che le osservazioni della luce visibile sono efficaci nel distinguere le stelle di diverse temperature ed altre proprietà come le dimensioni e la composizione chimica.

Poniamoci ora una domanda affascinante: perchè non vediamo nel cielo e nelle fotografie stelle di colore verde?

Poichè le curve del corpo nero sono relativamente ampie, l’emissione rientra in un range di colori che si fondono con il colore rappresentato dal picco della curva e la diluiscono. Una stella calda, ad esempio, avrà uno spettro di corpo nero che ha un picco nel blu ed avrà un aspetto bluastro. Una stella relativamente fredda avrà uno spettro di corpo nero che raggiunge il rosso ed apparirà rossastro. Il verde giace in una banda schiacciata tra il blu ed il rosso, quindi una stella con una temperatura intermedia avrà il suo picco nel verde, ma non apparirà verde. La sua emissione si estenderà fino ad includere sia i colori blu, sia i colori rossi, che si fonderanno e faranno apparire la stella biancastra. Se volete ripassare come si formano i colori, potete leggere il mio post “Il nostro è un universo di luce“.

Come mostrato nel mio precedente post “Lo spettro“, le linee spettrali sono impresse nella luce proveniente da stelle e/o galassie e sono una vera miniera d’oro d’informazioni per i ricercatori. Molte delle linee spettrali più importanti per gli atomi e le molecole si trovano nella banda del visibile e sono diventate strumenti efficaci per gli astronomi, che le usano per comprendere la fisica degli oggetti celesti.

L’energia che alla fine si traduce nell’emissione di luce proveniente dagli strati esterni delle stelle, nasce da processi di fusione nucleare che si verificano in profondità nel nucleo ad altissime temperature. Come in una bomba all’idrogeno, è qui che la massa viene convertita in energia secondo la famosa equazione di Einstein E=mc2, poichè l’idrogeno e l’elio vengono gradualmente trasformati in elementi più pesanti. L’energia rilasciata nelle profondità del nucleo stellare non sfugge dalla superficie molto rapidamente, ci vogliono circa dieci milioni di anni perchè qualsiasi cambiamento nel nucleo sia evidente sulla superficie. Ed è proprio sulla superficie che i diversi elementi chimici imprimono le loro sigle sulla luce che fuoriesce, permettendo agli astronomi di mappare la struttura stellare e la sorprendente capacità compositiva che era completamente sconosciuta fino alla metà del diciannovesimo secolo.

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Questa straordinaria immagine mostra uno spettro ad alta risoluzione della luce del nostro Sole disseminato di linee d’assorbimento. Ciascuna è un’impronta digitale di un particolare processo atomico o molecolare. Lo spettro è stato ottenuto attraverso il telescopio solare presso il Kitt Peak National Observatory in Arizona. Lo spettro rilevato copre la gamma di luce visibile da 400 nm nel blu sino a 700 nm nel rosso. Lo spettro è stato diviso in molte strisce separate che sono impilate una sull’altra come mostrato nell’immagine. La parte rossa piuttosto ampia e scura in alto è dovuta all’idrogeno mentre le linee gialle sono prodotte dal sodio.

Osservatori spaziali… 2° parte.

Continuiamo oggi la nostra chiacchierata sugli osservatori spaziali. Essi sono costituiti da una serie di componenti elettronici e meccanici progettati per supportare le estreme condizioni che affronteranno durante le fasi del lancio e durante il ciclo di vita nello spazio. Forti vibrazioni, sbalzi di temperatura, radiazioni, sono alcuni dei fattori da tenere in considerazioni durante la progettazione della componentistica di un osservatorio spaziale. Oltre alla qualità dei materiali utilizzati, la ridondanza di ogni componenti rappresenta un punto di forza per garantire l’alta affidabilità del sistema.

Come sono realizzati?

La maggior parte degli osservatori spaziali sono molto simili a quelli terrestri, con alcune differenze fondamentali. Sebbene siano simili a piccole città autonome nello spazio, un satellite da ricerca è composto da una serie di componenti. Lo specchio primario, il tubo del telescopio, i rilevatori, le batterie, i pannelli solari, gli apparati di comunicazione, i computers, gli strumenti di navigazione e centinaia o migliaia di sensori.

Lo specchio principale

Rappresenta una caratteristica comune per la grande maggioranza degli osservatori spaziali. Non è l’ingrandimento il fattore predominante quanto l’ampiezza dell’area di raccolta della luce. Maggiore è la superficie, più luce sarà catturata permettendo in tal modo l’osservazione degli oggetti più deboli. Inoltre più un satellite da ricerca si allontana dallo spettro del visibile per le proprie osservazioni, maggiore sarà il grado di specializzazione dello specchio e delle strutture a corredo.

Quando osserviamo la luce visibile, si utilizzano specchi normali e la luce giunge su di essi quasi perpendicolare 90°. Diversamente i raggi X avendo energie considerevoli attraverserebbero semplicemente lo specchio singolo quindi si utilizzano specchi cilindrici nidificati in modo che il raggio arrivi con un angolo d’incidenza pari a mezzo grado quindi viene leggermente deviato dalla serie di specchi. Alla fine della sua corsa viene messo a fuoco dai rilevatori posti in fondo al tubo che dev’essere abbastanza lungo. Un satellite per la ricerca dei raggi gamma non può utilizzare uno specchio e il fascio di particelle deve colpire direttamente il rilevatore (a volte denominato maschera codificata) in modo da costruire correttamente l’immagine desiderata.

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Coded mask per la rilevazione dei raggi gamma

Il tubo del telescopio

Lo scopo principale del tubo è quello di proteggere lo specchio e i rilevatori dalla luce indesiderata e di stabilizzare l’osservatorio. Le enormi e violente escursioni di temperatura nello spazio fanno letteralmente “respirare” il telescopio, contraendolo quando è freddo ed espandendolo quando è caldo. Per gli strumenti ad alta precisione, spesso posizionati con nanometrica accuratezza, può essere un problema. E’ necessario quindi provvedere di volta in volta alla messa a fuoco del telescopio a causa delle continue escursioni termiche. Per questo motivo, più risulterà solido il tubo, minore sarà il “respiro” del telescopio. Ma questa solidità porterà inevitabilmente all’aumento del peso complessivo dell’osservatorio e ai costi di progettazione e costruzione. Un ingegnere aerospaziale deve essere uno spietato imballatore! E’ estremamente costoso costruire e lanciare satelliti (circa 100.000€ per chilogrammo) così ogni componente dev’essere accuratamente misurato e pesato per non incappare in costi proibitivi che hanno sempre e comunque ripercussioni a livello pubblico.

I rilevatori

Sono componenti su cui gli astronomi ripongono molta fiducia. E’ qui che la luce viene raccolta e convertita in segnali elettrici. Essi sono gli occhi del telescopio. La fisica di questi sensori dipende dalla lunghezza d’onda che devono intercettare. Ad esempio per telescopi che lavorano nel visibile lo standard di riferimento è il CCD (Charge Coupled Device).

Celle solari e batterie

La fonte di energia principale che alimenta un telescopio spaziale è il Sole, attraverso l’utilizzo di pannelli solari che convertono la luce solare in elettricità che viene immagazzinata in batterie che verranno utilizzate durante la fase in cui il satellite attraversa l’ombra della Terra.

Apparati di comunicazione

Le antenne paraboliche sono utilizzate abitualmente per le comunicazioni con la Terra.  A volte e specialmente nel caso del telescopio Hubble, vengono utilizzati dei satelliti per telecomunicazioni allo scopo di reinstradare la comunicazione verso la base terrestre.

Computers

Gli elaboratori di bordo sono usati per organizzare e processare i dati raccolti durante le fasi osservative. Come per gli altri componenti a bordo dell’osservatorio spaziale anche i computers risultano nel tempo superati dalle nuove generazioni. Ad esempio il telescopio Hubble utilizza il processore Intel 80486 introdotto sul mercato alla fine degli anni ottanta.

Controlli di navigazione e puntamento

L’orientamento e la posizione di un satellite per la ricerca devono essere sempre conosciute in modo esatto. In molti casi una gerarchia di sistemi viene utilizzata per controllare l’orientamento del satellite. Nel caso del telescopio Hubble la cui stabilizzazione avviene in un range di pochi millisecondi d’arco, il sistema include un sensore solare, un magnetometro, un tracciatore di stelle, un giroscopio e degli interferometri ottici necessari alle operazioni di pointing del telescopio.

Sensori

Centinaia e a volte migliaia di sensori, aggiornano costantemente gli ingegneri sullo stato di salute e funzionamento di tutti gli apparati a bordo dell’osservatorio spaziale. La misurazione della temperatura, della corrente, e della pressione sono alcune delle variabili d’ambiente e non tracciate dai sensori.

WMAP Wilkinson Microwave Anisotropy Probe
Spitzer Space Telescope
Hipparcos
SOHO
CHANDRA

 

Osservatori spaziali… 1° parte.

Gli osservatori astronomici nello spazio hanno rivoluzionato la nostra conoscenza dell’Universo. Sono uno dei molti tipi di satelliti lanciati dall’inizio dell’era spaziale dedicati ad una grande varietà di applicazioni tra cui l’osservazione della Terra, la comunicazione, la radiodiffusione e la navigazione, sino ad arrivare a stazioni spaziali completamente abitabili. Gli osservatori spaziali danno accesso a porzioni dello spettro elettromagnetico che non è visibile dal suolo terrestre e forniscono una vista indisturbata del cielo stellato e dello spazio inter galattico. Sono strumenti particolarmente costosi , ma sono imbattibili nella ricerca dei fotoni sfuggenti provenienti dall’universo nascosto. 

NASA/ESA Hubble Space Telescope in orbita a 600 Km dalla Terra.

L’era spaziale ha avuto inizio con il lancio dello Sputnik da parte dell’Unione Sovietica nel 1957. Cinque anni dopo, nel 1962, la NASA ha lanciato la prima versione di un satellite per la ricerca astronomica denominato OSO-1. Da quei primi passi, più di cento differenti osservatori astronomici sono stati messi in orbita ed hanno contribuito nel tempo a fornire nuove informazioni in molte aree di ricerca in astronomia, in astrofisica e cosmologia.

La maggior parte dei satelliti astronomici sono nell’orbita terrestre ma, per alcuni scopi, ci sono vantaggi nella scelta di orbite particolari. Alcuni strumenti sensibili (sensori, circuiti elettronici, sonde, etc…) influenzati ad esempio, dalle linee di forza del campo magnetico terrestre, potrebbero avere dei problemi di funzionamento. Altri veicoli spaziali devono mantenersi lontano dal calore irradiato nello spazio dal nostro pianeta.

Vi sono poi alcuni strumenti come ad esempio i palloni ad alta quota come BOOMeranG o SOFIA che si trovano a metà strada tra il suolo terrestre e lo spazio. Possono essere utilizzati per condurre esperimenti che altrimenti a terra risulterebbero vani e il loro costo di realizzazione e messa in orbita risulta considerevolmente inferiore rispetto agli osservatori spaziali. 

Immagine di alcuni osservatori spaziali e la loro finestra di funzionamento nello spettro elettromagnetico.

Come accennato in precedenza, ci sono diversi motivi convincenti per lanciare i telescopi nello spazio, il più importante è la fuga dall’assorbimento e dalla turbolenza associata all’atmosfera. Inoltre il punto di vista elevato dà accesso alla luce che non è visibile dal suolo terrestre e fornisce una vista indisturbata del cielo stellato e dello spazio profondo.

Ma cosa ostacola lo sviluppo degli osservatori spaziali? I cosiddetti “costi astronomici” sono un fattore, ma anche i tempi lunghi associati allo sviluppo e alla realizzazione di questi dispositivi complessi, oltre al rischio che vengano persi e/o distrutti durante il viaggio dalla Terra allo spazio. Non dimentichiamo anche l’aspetto legato ai costi di manutenzione ed aggiornamento degli strumenti di bordo. Come vedete sono variabili da considerarsi significative nella scelta di investire denaro pubblico e/o privato per finalità scientifiche. Sulla Terra è più facile eseguire l’aggiornamento alla tecnologia più recente e costruire telescopi più grandi in grado di raccogliere più luce. In generale, gli osservatori spaziali e i telescopi a terra sono complementari, ma con importanti sinergie tra loro ed è per questo motivo che i team di ricerca utilizzano frequentemente strumenti terrestri e spaziali per indagare su un particolare fenomeno.

L’affidabilità è un’altra componente che occorre tenere presente quando si realizza un osservatorio spaziale. Quando viene impiegato in una missione che può durare anni o addirittura decenni, l’affidabilità dei singoli componenti è il primo pensiero dei progettisti. Ad eccezione di Hubble, che è stato aggiornato e riparato da equipaggi dello Space Shuttle, la maggior parte degli altri osservatori spaziali diventano inaccessibili dopo il lancio.

Tutte le meccaniche e l’elettronica devono essere accuratamente testate per garantire che possano sopportare le dure condizioni che si verificano durante e dopo il lancio. Vibrazioni, alterazioni di temperatura elevate e un ambiente di radiazioni ostili sono tutti fattori da prendere in considerazione oltre ad utilizzare componenti di alta qualità, ridondati ove possibile per garantire l’alta affidabilità.

Di solito ci vogliono anni per portare a termine la realizzazione di un osservatorio spaziale. E nel frattempo, i progressi tecnologici obbligano a continue revisioni ed implementazioni della componentistica per disporre delle innovazioni più recenti prima che il progetto stesso venga “congelato” in attesa del lancio. Oltre a queste considerazioni, alcuni veicoli spaziali si basano sull’uso continuo di carburante o di altri materiali di consumo quali liquidi refrigeranti liquidi o solidi che, in ultima analisi, limitano la loro durata utile.

Nel prossimo post, andremo nel cuore di questi osservatori…

I telescopi moderni…

Lo sviluppo tecnologico dei telescopi ha subito una vorticosa accelerazione grazie allo sviluppo dei computers e dell’elettronica avanzata. L’ingegno profuso per superare il problema del seeing (vedi post precedente) e l’abbattimento dei gap esistenti nell’assorbimento atmosferico, sono veramente sorprendenti. I telescopi di oggi sono il frutto dell’intelletto e dell’ingegno dell’uomo e in mezzo a tutta questa tecnologia riaffiora ancora in noi il ricordo di quel semplice tubo con due lenti che Galileo puntò con successo verso i cieli oltre quattrocento anni fa. Per evitare banalizzazioni di genere i diversi telescopi di terra sono stati suddivisi in sette categorie.

  • Telescopi classici riflettori
  • Telescopi solari
  • Telescopi submillimetrici
  • Radio Telescopi
  • Telescopi per il rilevamento dei raggi cosmici
  • Telescopi per il rilevamento dei neutrini
  • Telescopi per il rilevamento delle onde gravitazionali

Per alcuni di questi strumenti il nome telescopio sembra essere inappropriato. Ma vediamo ora una piccola panoramica dei diversi tipi di telescopi nelle immagini seguenti.

 

Very Large Telescope: Sistema di 4 telescopi ottico/infrarosso con gli specchi primari da 8.2 m di diametro. Costruito e gestito dall’ESO è situato 2635 m s.l.m. sul Cerro Paranal nel deserto di Atacama in Cile. I quattro telescopi possono utilizzare la tecnica interferometrica anche grazie all’utilizzo dei quattro telescopi ausiliari da 1.8 m di diametro.

 

Telescopi Keck: Osservatorio formato da due telescopi aventi entrambi lo specchio primario di 10 m di diametro composto da 36 specchi esagonali. Possono lavorare assieme utilizzando la tecnica interferometrica. Sono situati a 4145 m s.l.m. sulla sommità del monte Mauna Kea alle Hawaii.

 

Telescopio Subaru: Osservatorio della società astronomica nazionale del Giappone, ubicato sul monte Mauna Kea alle Hawaii. Lo specchio primario è da 8.2 m.

 

Osservatorio Gemini: E’ formato da due telescopi da 8.1 m di diametro, situati il primo sul monte Mauna Kea alle Hawaii ed il secondo sul Cerro Pachon in Cile.

 

Telescopio solare svedese: Telescopio solare da 1 m di diametro in cima al monte Roque de Los Muchachos a La Palma alle Canarie. E’ il secondo rifrattore al mondo come dimensioni ed utilizza un tubo a vuoto per ottenere immagini nitide del Sole con l’ausilio dell’ottica adattiva.

 

James Clerk Maxwell Observatory: E’ un telescopio submillimetrico situato sul monte Mauna Kea alle Hawaii. E’ il più grande al mondo nel suo genere e viene utilizzato per studiare il sistema solare, le polveri e i gas interstellari e le galassie lontane.

 

Parkes Observatory: E’ un radio telescopio orientabile del diametro di 64 m vicino alla città di Parkes nel distretto del new south wales in Australia. Parti delle immagini televisive dell’allunaggio dell’Apollo 11 viste in tutto il globo sono state affidate a questo telescopio. Dobbiamo inoltre ad esso la scoperta nel 1963 del primo Quasar.

 

Very Large Array: E’ formato da 27 antenne indipendenti ognuna del diametro di 25 m. Le antenne sono posizionate lungo tre braccia a forma di Y ognuno della lunghezza di 21 Km e sfruttano al meglio la tecnica interferometrica. Sono situate nella piana di San Augustin in Messico.

 

MAGIC Telescope: Ha un diametro di 17 m e rileva la radiazione gamma. E’ ubicato nell’Osservatorio del Roque de Los Muchachos a La Palma nelle Isole Canarie a 2200 m s.l.m.

 

Pierre Auger Observatory: E’ una cisterna da 1600 litri d’acqua distribuita su un’area di circa 3000 Km quadrati su di una griglia triangolare nella Pampa Amarilla in Argentina. Rileva le particelle ad alta energia generate dai raggi cosmici a contatto con l’atmosfera terrestre. E’ affiancato da rilevatori ottici in grado di misurare la fluorescenza dell’azoto atmosferico quando viene attraversato dalle particelle energetiche.

Come avete visto per alcuni il termine telescopio è quasi fuori luogo. Ma ognuno di essi nel proprio raggio d’azione è a pieno diritto definibile come tale. Nel prossimo post parleremo dei telescopi spaziali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ostacoli atmosferici…

I telescopi terrestri devono fare i conti con la turbolenza della nostra atmosfera. Anche nelle località prescelte per le migliori condizioni osservative, l’atmosfera è completamente o parzialmente opaca in un ampio tratto dello spettro elettromagnetico.

L’opacità dell’atmosfera terrestre.

Dai raggi gamma ad alta energia, passando attraverso la banda X ed al vicino ultravioletto a circa 300 nm di lunghezza d’onda, l’atmosfera assorbe totalmente la radiazione e gli astronomi sono completamente ciechi da terra. La banda del visibile è relativamente trasparente (in particolare nei siti posti ad elevate altitudini) e vi sono alcune finestre nell’infrarosso che si estendono sino a lunghezze d’onda di circa 20 µm. Proseguendo lungo il continuum dello spettro, troviamo un’area che copre il lontano infrarosso sino a lunghezze d’onda di appena 1 mm, dove la radiazione è tutta assorbita ad eccezione di alcune finestre dove l’atmosfera è sufficientemente trasparente. Nella parte dello spettro chiamata millimetrica e sub-millimetrica, il principale responsabile dell’assorbimento è l’acqua. Per questo motivo si cercano luoghi particolarmente secchi ed elevati come ad esempio l’altopiano Chajanator posto a 5000 mt s.l.m. nel deserto nord del Cile ove sono presenti le antenne dell’osservatorio ALMA dell’ESO. Per le lunghezze d’onda radio lunghe partendo da circa 1 cm in su, l’atmosfera è molto trasparente, sebbene quando le condizioni non siano ottimali, è ancora in grado di distorcere le immagini radio. Infine la Ionosfera terrestre blocca completamente le lunghezze d’onda dai 20 mt in su. Così come assorbe la luce, l’atmosfera terrestre irradia quest’ultima durante la notte quando non è illuminata dal Sole. Nel vicino infrarosso certe molecole di gas, in particolare la combinazione di un singolo atomo di idrogeno ed uno di ossigeno (chiamata radicale ossidrile OH) rendono il cielo leggermente brillante mentre nel lontano infrarosso l’atmosfera è brillante semplicemente a causa dell’emissione della radiazione di calore.

Oltre all’assorbimento atmosferico, che blocca o riduce la radiazione proveniente dallo spazio, dobbiamo fare i conti anche con la turbolenza (molto familiare ai viaggiatori d’aereo) che piega la luce attraverso diverse angolazioni che cambiano continuamente con il tempo e con la posizione nel cielo. Questo fenomeno atmosferico vieni chiamato dagli astronomi seeing. La qualità del seeing (conosciuta come risoluzione) limita seriamente la quantità dei dettagli che possiamo rilevare attraverso i telescopi terrestri durante le osservazioni degli oggetti celesti (stelle, galassie, etc…). Per ovviare a questo inconveniente i moderni telescopi terrestri sono dotati di dispositivi ad alta velocità che possono misurare e correggere le aberrazioni atmosferiche. Questa tecnica prende il nome di Ottica Adattiva e sotto certe condizioni sfrutta molte delle capacità intrinseche dei moderni telescopi per offrire immagini sempre più nitide e dettagliate.

L’ottica adattiva al lavoro al VLT.

La misurazione dei continui cambiamenti atmosferici necessaria a calcolare il fattore di correzione da applicare, ha bisogno di utilizzare una stella di riferimento abbastanza luminosa. Il telescopio proietta un raggio laser nel cielo in modo da creare una stella artificiale nella stessa porzione di cielo ove si trova l’oggetto in fase di studio. Questa stella è il risultato della luce riflessa dagli atomi di sodio che sono sempre presenti nell’atmosfera a circa 90 Km di distanza dal suolo terrestre.

Consiglio la visione del seguente filmato magistralmente condotto da Joe Liske (Dr. J) ove vengono illustrate le tecniche e gli strumenti utilizzati dai moderni telescopi terrestri per migliorare continuamente la loro capacità risolutiva.

Dopo aver letto questo post, se qualcuno vi dirà che la nostra atmosfera è pessima e non va bene per noi, allora avrete capito di trovarvi di fronte un astronomo!

La nostra visione dalla terra…

L’astronomia è una scienza osservazionale. Tralasciando l’utilizzo delle sonde spaziali nel nostro sistema solare, non è possibile effettuare esperimenti in situ e le informazioni devono essere raccolte dai segnali luminosi provenienti dallo spazio attraverso i telescopi e misurate con l’ausilio di strumenti come camere CCD e spettrografi, che suddividono la luce nelle varie lunghezze d’onda di cui è composta per consentire uno studio più approfondito. La maggior parte dei telescopi osservano i cieli da terra, spesso dalle cime di montagne remote per minimizzare il disturbo atmosferico durante le fasi di screening degli oggetti celesti. Ma gli attuali telescopi di terra sono molto più che semplici strumenti ottici che catturano la luce proveniente dalle stelle e dalle galassie remote grazie ad enormi specchi.

Il telescopio apparve per la prima volta sulla scena nei primi anni del diciassettesimo secolo ad opera di Hans Lippershey. Il primo scienziato ad utilizzarlo per osservazioni astronomiche fu Galileo Galilei nel 1609. Fu il primo ad affermare che l’universo è scritto con il linguaggio matematico ed introdusse il metodo scientifico basato sulle annotazioni delle osservazioni, le catalogazioni e l’interpretazione dei dati raccolti. Descrisse tutti i fenomeni che potè osservare con il suo telescopio: dai crateri della luna alle lune di Giove sino ad arrivare alle macchie solari.

 

Galileo mostra al Doge di Venezia come utilizzare il telescopio.

Dopo Galileo, centinaia di osservatori sono stati costruiti in tutto il mondo e dal 1960 in poi anche nello spazio. Vi sono molti vantaggi in più osservando i cieli dallo spazio anzichè dalla terra. Ma vi sono anche degli svantaggi in termini economici per esempio e (eccezion fatta per il telescopio spaziale Hubble) l’impossibilità di provvedere alle riparazioni o aggiornamenti degli strumenti elettronici e/o ottici. Per questi motivi la ricerca sino ad oggi di siti terrestri con condizioni favorevoli alle osservazioni ha rappresentato il motivo principale per la costruzione degli attuali telescopi e per quelli che seguiranno nel prossimo futuro. Al progredire della tecnologia essi possono essere aggiornati con gli strumenti di ultima generazione. Operano principalmente nella luce visibile, nell’infrarosso e nelle lunghezze d’onda radio. Questi strumenti terrestri d’avanguardia lavorano assieme a quelli spaziali per rendere le ricerche sempre più avanzate nei vari campi dell’astronomia, dell’astrofisica e della cosmologia.

The Australian Radio Telescope Array

Nel prossimo post parleremo dei disturbi arrecati dalla nostra atmosfera durante le nostre osservazioni dei cieli.

Diamo i numeri…

Cerchiamo di comprendere ciò che ci circonda attraverso l’utilizzo di unità di misure delle distanze cosmiche. Nella vita quotidiana siamo abituati ad utilizzare come unità di misura delle distanze i centimetri, i metri, i chilometri, etc… Quando ci cimentiamo nella misura delle distanze planetarie o cosmiche abbiamo bisogno di altre unità che possano rappresentare le enormi distanze fra gli oggetti nel cosmo. Iniziamo con la prima unità.

AU (Astronomic Unit)

Viene usata prevalentemente per misurare le distanze planetarie. Corrisponde alla distanza fra la Terra  ed il Sole e ed equivale a 149.597.870 chilometri.

Vediamo ora quale unità possiamo utilizzare per calcolare le distanze stellari.

Parsec (Parallasse secondo)

Con il parsec, si esprimono le enormi distanze tra le stelle. Un parsec equivale a 3,26 anni luce e corrisponde alla distanza dalla quale un osservatore vedrebbe il raggio medio dell’orbita terrestre (cioè una unità astronomica) sotto un angolo di 1 secondo d’arco.

Vediamo ora l’unità di misura delle distanze astronomiche maggiormente utilizzata.

LY (Light Year)

Corrisponde alla distanza che un oggetto percorrerebbe se viaggiasse a velocità uguale a quella della luce nel vuoto  per un anno solare.

Qual’è la formula per calcolare l’anno luce?    S = V * T

300.000 km * 3600 = 1.080.000.000 km  (velocità della luce in un’ora)

1.080.000.000 km *24 * 365 = 9.460.800.000.000 km  (velocità della luce in un anno)

Ora con questi semplici strumenti quantitativi, vediamo il prossimo video che ci mostra le distanze fra gli oggetti celesti nell’universo conosciuto.

Al termine del video avete letto la prima parte del pensiero di Carl Sagan, astronomo e divulgatore scientifico americato. E’ di una poesia struggente e voglio riproporlo interamente in italiano di seguito.

“Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. Siamo noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì su un granello di polvere sospeso dentro ad un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria ed il trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un punto. Pensate alle crudeltà senza fine impartite dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti i loro malintesi, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto ferventi i loro odii. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è nessuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è nessun altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Abitare, non ancora.Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.”

– Carl Sagan

Nei prossimi post continueremo la nostra avventura in terra cilena tra scienza e natura.

Antofagasta e VLT on Paranal…

Dopo un totale di sedici ore di volo da Roma a Santiago del Cile, ci siamo trasferiti nella città di Antofagasta. E’ una città portuale nel Cile settentrionale che si affaccia sull’Oceano Pacifico. Si trova a circa 1.100 Km a nord della capitale Santiago. E’ una cittadina di lavoratori minerari e di pescatori. A noi non ha entusiasmato molto ma è anche vero che abbiamo pernottato e il giorno seguente siamo andati a visitare l’osservatorio astronomico Paranal.

Osservatorio Astronomico Paranal

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La nostra prima meta in terra cilena. Situato sul Cerro Paranal, nel deserto di Atacama(120 km a sud di Antofagasta), è stato realizzato e gestito dall’European Southern Observatory. Il Cerro Paranal è una montagna alta 2635 metri, situata a 12 km dalla costa sull’Oceano Pacifico, che si trova in una delle zone più secche di tutto il pianeta.

Dopo la consueta registrazione di rito al gate d’ingresso entriamo in questa struttura ove è possibile vedere delle gigantografie di paesaggi cosmici e ritiriamo anche il caschetto di sicurezza necessario per il proseguo della visita.

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Dopo un breve tragitto in macchina arriviamo finalmente al plateau dove troneggiano le cupole che contengono al loro interno i telescopi da 8.2 mt di diametro.

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Le guide ESO ci dividono i due gruppi: uno in lingua inglese l’altro in lingua spagnola. Dopo la recita delle safety policies, indossiamo i caschetti e ci addentriamo nel cuore di uno dei quattro telescopi. Entrati nella cupola, saliamo una scaletta in ferro e raggiungiamo una pedana da dove possiamo vedere lo specchio primario del telescopio.

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Spesso solo 18 centimetri, è troppo sottile per mantenere la propria forma da solo. A tale scopo esso è sorretto da 150 pistoncini idraulici che ne aggiustano la forma ogni volta che il telescopio viene mosso in una nuova direzione. Tali dispositivi fanno parte della cosiddetta ottica adattiva il cui obiettivo è quello di correggere gli errori introdotti dalle turbolenze atmosferiche. Tornando di nuovo a terra possiamo osservare lo specchio secondario ove vengono focalizzate le onde dello spettro elettromagnetico nella banda del visibile provenienti dal primario.

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Nella parte inferiore della struttura si trova l’elettronica contenete la camera CCD (Charge-Coupled Device) e nella parte evidenziata in rosso vedete i cavi che partono dai rilevatori laterali e finiscono nelle camere sotterranee ove i raggi luminosi provienti dalle stelle finiscono in un labirinto di specchi e dispositivi elettronici che compongono il sistema di interferometria.

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Nella foto seguente si nota uno scorcio di uno dei sensori laterali di cui vi parlavo.

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Il sistema di interferometria consente agli astronomi di vedere dettagli fino a 25 volte più fini rispetto a quelli osservabili con i singoli telescopi. Nel VLTI i fasci di luce sono combinati per mezzo di un sistema complesso di specchi in tunnel sotterranei che devono mantenere uguali i percorsi del segnale luminoso a meno di 1/1000 mm lungo un percorso di oltre cento metri. Con questo tipo di precisione il VLTI può ricostruire immagini con una risoluzione angolare del millesimo di arcosecondo, equivalente a distinguere i fari di un’automobile alla distanza della Luna. I telescopi di 8,2 metri di diametro possono essere usati anche individualmente. Con un telescopio di questa dimensione si possono ottenere immagini di corpi celesti fino a magnitudine 30 con un’esposizione di un’ora. Questo corrisponde a vedere oggetti che sono quattro miliardi di volte meno luminosi di quelli che possono essere visti a occhio nudo.

Finita la visita all’interno della cupola, passiamo nella control room dove gli astronomi possono visualizzare le immagini raccolte dai telescopi.

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All’interno della control room vi sono quattro isole e ognuna di esse si riferisce ad uno dei quattro telescopi. Una quinta isola è dedicata ai projects managers che si alternano a seconda dei progetti scientifici in corso in un determinato momento. Ritornati sul plateau osserviamo anche i quattro telescopi ausiliari da 1.8 mt di diametro.

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Questi telescopi si muovono su binari e possono assumere diverse configurazioni a seconda di quanto richiesto dagli astronomi e dal particolare progetto in corso.

Per adesso un saluto dal tempio del telescopio più grande del mondo. Nel prossimo post vedremo l’oasi nel deserto ove gli astronomi possono rilassarsi, incontrarsi, discutere etc…

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Iniziamo l’avventura…

Questa storia inizia quando da bambino alzavo lo sguardo verso il cielo d’inverno e la dominanza della costellazione d’Orione nella volta celeste mi impressionava. Nel buio della notte guardavo con estasi quello spettacolo e la mia fantasia galoppava come non mai. Da allora sono passate molte primavere come dicevano gli indiani d’america e una dopo l’altra mi hanno accompagnato nel percorso di comprensione di ciò che ci circonda. Tutti noi siamo astronomi basta sollevare lo sguardo al cielo e contemplare le meraviglie del cosmo. Come dice Neil deGrasse Tyson “Noi non siamo nell’universo ma l’universo è dentro di noi”.