Raggi Gamma: superare i limiti

I raggi gamma cadono all’estremità energetica più alta dello spettro elettromagnetico e si sovrappongono ai raggi X ad alta energia. Mentre i raggi X vengono emessi nei processi in cui gli elettroni effettuano transizioni da un livello energetico ad un altro, i raggi gamma vengono tipicamente emessi da transizioni che hanno luogo all’interno del nucleo atomico stesso o da particelle che vengono accelerate fino a energie molto elevate.

Raggi Gamma
Raggi X

L’astronomia a raggi gamma ci porta direttamente nella fisica più tagliente e violenta dell’Universo. Questi, come i raggi X, vengono in gran parte assorbiti dall’atmosfera. I primi dati provenivano dal satellite Explorer 11 lanciato nel 1961, che rilevò meno di 100 fotoni di raggi gamma, quanto basta per suggerire l’esistenza di uno sfondo di radiazioni di basso livello che gli scienziati attribuirono all’interazione di particelle cariche ad alta energia (raggi cosmici) con il gas del mezzo interstellare.
Singole sorgenti di raggi gamma furono osservate per la prima volta negli anni ’70, anche se confrontarle con oggetti visti in altre lunghezze d’onda fu molto difficile perché la risoluzione dei rilevatori di raggi gamma era molto scarsa. Ancora oggi circa la metà delle sorgenti di raggi gamma conosciute rimangono non classificate ed è un mistero, nonostante l’ottimo lavoro di osservatori veterani come il Compton Gamma Ray Observatory che ha osservato il cielo dei raggi gamma per quasi dieci anni dal 1991 al 2000.

Gamma Ray Burst

Brevi e intense esplosioni di raggi gamma, ora note per essere più luminose di un milione di trilioni di Soli, furono scoperte alla fine degli anni ’60 dai satelliti della difesa, alla ricerca di raggi gamma prodotti durante i test nucleari. Questi lampi di raggi gamma sono sorprendentemente comuni, con eventi rilevati due o tre volte alla settimana e sono stati oggetto di studi intensivi.
Le esplosioni possono durare da qualche millisecondo fino a un minuto, e si pensa che molte delle esplosioni più lunghe siano collegate a supernove ad altissima energia -a volte conosciute come ipernovae- ed al collasso di stelle luminose, a combustione rapida e di breve durata, vissute per formare buchi neri al termine della loro vita.
Il satellite BeppoSAX è riuscito ad identificare il “bagliore residuo” di alcuni di questi lampi di raggi gamma sotto forma di tracce di radiazioni di energia inferiore, sia raggi X o anche luce visibile che persistono dopo i lampi originali. Questo ha permesso agli astronomi di stabilire che le sorgenti di queste esplosioni si trovavano ben oltre il nostro gruppo locale di galassie, a distanze di otto miliardi di anni luce ed oltre.
Ulteriori progressi nella comprensione, e forse alcuni suggerimenti sul meccanismo dietro i lampi di raggi gamma più brevi e avvolti ancora nel mistero, sono arrivati ​​dal satellite Swift della NASA, lanciato nel 2004. SWIFT è in grado di fornire le coordinate ai telescopi a raggi X e a luce visibile su una nuova raffica di raggi gamma entro un minuto e in questo modo è riuscito a catturare una stella mentre esplode.

Le immagini del telescopio Swift negli spettri ultravioletti/ottici (bianco, viola) e ai raggi X (giallo e rosso) sono state combinate in questa vista di GRB 110328A. L’esplosione è stata rilevata solo dai raggi X, raccolti in un periodo di 3,4 ore il 28 marzo 2011.

Altri strumenti come INTEGRAL e il telescopio spaziale GLAST appena lanciati, così come il telescopio MAGIC nelle Isole Canarie, stanno inaugurando una rivoluzione nell’astronomia dei raggi gamma poiché la loro risoluzione e sensibilità migliorate, consentiranno agli astronomi di sondare i segreti dei buchi neri, delle stelle di neutroni ed altre sorgenti di raggi gamma.

Pulsar ad alta energia

I fotoni dei raggi X e dei raggi gamma possono essere in numero inferiore rispetto ai loro omologhi prodotti dagli altri livelli dello spettro, ma la loro capacità di illuminare gli oggetti più esotici e bizzarri dell’Universo li rende uno strumento inestimabile per gli astronomi

La rivoluzione dei raggi X e delle alte energie ha senza dubbio cambiato drasticamente la nostra visione dell’Universo grazie ai primi esperimenti di osservazione dei raggi X di provenienza extraterrestre.
Sono state scoperte migliaia di sorgenti di raggi X e numerosi altri oggetti caratterizzati da processi ad alta energia. Questi processi sono spesso associati alla “fisica estrema”: campi gravitazionali e magnetici estremamente forti che accelerano le particelle a energie relativistiche, gas riscaldato a temperature di centinaia di milioni di gradi e oggetti esotici come stelle di neutroni e buchi neri.
Le scale temporali sono spesso brevi, indicando oggetti molto compatti. Le alte energie e le corte lunghezze d’onda associate rendono le osservazioni dei raggi X lo strumento preferito per sondare la fisica delle stelle di neutroni, le vicinanze dei buchi neri e il gas caldo tra le galassie.
I raggi X ci hanno permesso di esplorare corone stellari attive e di individuare stelle molto calde associate alle enormi regioni di gas caldo note come “superbolle” che sono state presumibilmente riscaldate da intensi venti stellari. A caccia di buchi neri, è stato scoperto ed esplorato un enorme zoo esotico di stelle binarie a raggi X.
L’astronomia a raggi X rappresenta ancora lo strumento più promettente per studiare l’esistenza, le proprietà e gli effetti dei buchi neri nell’Universo . Osservando in notevole dettaglio i resti di supernova, le galassie e, non ultimo, i nuclei attivi delle galassie, si sono accumulate prove del fatto che queste galassie attive sono guidate da buchi neri supermassicci. Vengono affrontati anche altri enigmi. Gli studi a raggi X sugli ammassi di galassie hanno trovato nuove prove sull’esistenza della materia oscura e sulle sue proprietà.
All’estremità energetica più alta dello spettro elettromagnetico, nuovi telescopi spaziali come GLAST hanno dato all’astronomia dei raggi gamma nuovo impulso nella ricerca per comprendere i lampi di raggi gamma e individuare oggetti sfuggenti di raggi gamma in tutto l’Universo.

Immagine di Sagittarius A* il buco nero supermassiccio al centro della nostra Galassia, realizzata con la più lunga esposizione ai raggi X di quella regione fino ad oggi. Oltre a Sagittarius A* nella regione sono state rilevate più di duemila altre sorgenti di raggi X, rendendo questo uno dei campi più ricchi mai osservati.

Oltre la foto del secolo, alla ricerca dei semi…

Oggi voglio stuzzicare la vostra curiosità astronomica, parlando dell’origine dei buchi neri supermassicci esistiti ai primordi della storia cosmica.

Prima di iniziare il nostro viaggio, voglio consigliarvi la visione di un video di Alberto Bonato. Partendo dalla foto del secolo, che mostrava al mondo la prova tangibile dell’esistenza dei buchi neri, vi guida con una narrativa ed uno stile divulgativo molto semplice ed efficace alla comprensione di uno dei fenomeni più esotici dell’Universo. Il video lo potete vedere qui.

Here we go! Immaginiamo l’universo neonato. La maggior parte degli scienziati ritiene che lo spazio e il tempo abbiano avuto origine con il big bang. Da quell’inizio caldo e denso il cosmo si espanse e si raffreddò, ma ci volle un po’ prima che stelle e galassie iniziassero a popolare il cielo. Fu solo 380.000 anni circa dopo il big bang che gli atomi poterono rimanere coesi e riempire l’universo, per lo più di idrogeno. Quando il cosmo raggiunse un’età di alcune centinaia di milioni di anni, questo gas si radunò a formare le prime stelle, che costituirono ammassi che si riunirono in galassie, la più antica delle quali apparve 400 milioni di anni dopo la nascita dell’universo. Si è scoperto che, sorprendentemente, anche un’altra classe di oggetti astronomici cominciò ad apparire in quel periodo: i quasar.

I quasar sono oggetti estremamente luminosi alimentati da gas che cade in buchi neri supermassicci. Sono tra gli oggetti più brillanti dell’universo, visibili fino ai confini più remoti dello spazio. I quasar più distanti sono anche i più antichi, e quelli più vecchi in assoluto rappresentano un mistero. Per essere visibili a distanze incredibili, questi quasar devono essere alimentati da buchi neri con circa un miliardo di volte la massa del Sole. Le teorie sulla formazione e la crescita dei buchi neri prevedono che un buco nero abbastanza grande da alimentare questi quasar non si sarebbe potuto formare in meno di un miliardo di anni.

L'accecante luminosità dei quasar | by Michele Diodati | Spazio Tempo Luce  Energia

Nel 2001, tuttavia, con la Sloan Digital Sky Survey, gli astronomi hanno iniziato a rilevare quasar ancora più vecchi. Ad oggi il quasar più antico e più lontano conosciuto, P172+18, distante 13 miliardi di anni luce, esisteva appena 780 milioni di anni dopo il big bang. In altre parole, non sembra che ci sia stato abbastanza tempo nella storia dell’universo affinché si formassero quasar come questo.

Molti astronomi ritengono che i primi buchi neri, i cosiddetti semi di buchi neri, siano i resti delle prime stelle, i cadaveri rimasti dopo che le stelle sono esplose in supernove. La massa di questi resti stellari, però, non dovrebbe essere più grande di poche centinaia di masse solari. È difficile immaginare uno scenario in cui i buchi neri che alimentano i primi quasar siano cresciuti a partire da semi così piccoli.

Questi semi invece, si sarebbero formati direttamente dal gas. Vengono denominati buchi neri a collasso diretto (direct-collapse black hole, DCBH). Nell’ambiente giusto, questi buchi neri potrebbero essere nati con 104 o 105 masse solari poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang. Con questo vantaggio iniziale, avrebbero potuto facilmente arrivare a 109 o 1010 masse solari, producendo in questo modo gli antichi quasar che rendono perplessi gli astronomi da quasi due decenni.

I semi

I buchi neri sono oggetti astronomici enigmatici, aree in cui la gravità è così immensa che ha deformato lo spazio-tempo al punto che nemmeno la luce ne può sfuggire. Solo con la scoperta dei quasar, che permettono agli astronomi di vedere la luce emessa dalla materia che cade nei buchi neri, abbiamo avuto la prova che si trattava di oggetti reali e non solo di curiosità matematiche previste dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein. Si ritiene che la maggior parte dei buchi neri si formi quando stelle di massa molto elevata – quelle con più di dieci volte la massa del Sole – esauriscono il loro combustibile nucleare e iniziano a raffreddarsi e quindi a contrarsi. Alla fine la gravità prevale e la stella collassa, scatenando un’esplosione catastrofica, cioè una supernova, e lasciandosi dietro un buco nero.

Si presume che la maggior parte dei buchi neri che alimentano i primi quasar si fossero formati in questo modo. Potrebbero essere nati dalla scomparsa delle prime stelle dell’universo che riteniamo si siano formate quando il gas primordiale si raffreddò e si frammentò, circa 200 milioni di anni dopo il big bang. Queste stelle avevano probabilmente massa maggiore delle stelle nate in seguito nel cosmo, il che significa che avrebbero potuto lasciarsi dietro buchi neri pesanti anche diverse centinaia di masse solari. Inoltre è probabile che queste stelle si siano formate in ammassi densi, e quindi i buchi neri creati dalle loro morti si sarebbero fusi insieme, generando buchi neri di varie migliaia di masse solari. Anche buchi neri così grandi, però, sono ancora lontani dalla massa necessaria per alimentare gli antichi quasar.

Come si alimenta un buco nero?

La nostra conoscenza attuale della fisica suggerisce che esista una velocità di alimentazione ottimale, nota come limite di Eddington, a cui i buchi neri acquisiscono massa nel modo più efficiente. Un buco nero che si alimenta alla velocità di Eddington crescerebbe esponenzialmente, raddoppiando la massa ogni 107 anni circa. Per giungere a 109 masse solari, un seme di buco nero di dieci masse solari dovrebbe inghiottire stelle e gas ininterrottamente alla velocità di Eddington per un miliardo di anni. È difficile spiegare come un’intera popolazione di buchi neri possa nutrirsi continuamente in modo così efficiente. Anzi, se i primi quasar fossero derivati da semi di buco nero, avrebbero dovuto alimentarsi ancora più velocemente della velocità di Eddington.

Superare questo tasso è teoricamente possibile in circostanze speciali, in ambienti densi e ricchi di gas, e queste condizioni potrebbero essere state disponibili nell’universo delle origini, ma non sarebbero state comuni e sarebbero state di breve durata. Inoltre, una crescita eccezionalmente rapida può in realtà provocare un “soffocamento” in cui le radiazioni emesse potrebbero alterare e persino bloccare l’afflusso di massa al buco nero, fermandone la crescita. Date queste restrizioni, sembra che un’alimentazione eccessiva possa spiegare alcuni quasar anomali, ma non l’esistenza dell’intera popolazione osservata, a meno che quello che sappiamo attualmente sul limite di Eddington e del processo di alimentazione del buco nero, sia errato.

Queste argomentazioni rientrano in una più ampia rivoluzione della nostra capacità di studiare e comprendere tutte le masse dei buchi neri. Quando nel 2015 il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali, per esempio, si è riusciti a trovarne la sorgente in due buchi neri in collisione di 36 e 29 masse solari, i cugini leggeri dei buchi neri supermassicci che alimentano i quasar. Il progetto continua a rilevare onde provenienti da eventi simili, fornendo nuovi, incredibili dettagli su ciò che accade quando questi buchi neri si scontrano e deformano lo spazio-tempo che li circonda.

Il prossimo futuro ha in serbo molte rivelazioni: quello che sappiamo dei buchi neri sta per cambiare per sempre.

L’universo nel radio e… II parte

Continuiamo il nostro viaggio nello spettro elettromagnetico che al momento ci colloca nella regione delle radio frequenze.

Bremsstrahlung

Questo processo di generazione di radiofrequenza prevede interazioni dirette tra particelle cariche in rapido movimento. Le regioni di gas incandescente eccitate dalle stelle calde, in particolare le regioni che formano le stelle e le nebulose planetarie, sono avvolte da elettroni energetici e protoni che ronzano intorno ad alta velocità. A volte si avvicinano abbastanza l’un l’altro per essere deviati dall’interazione delle loro cariche elettriche. Il processo di deflessione provoca l’emissione di radiazioni che si vede spesso più chiaramente alle lunghezze d’onda nel radio e ai raggi X (sebbene possa essere visto anche in altre parti dello spettro). Le osservazioni di tale radiazione dalle regioni che formano le stelle consentono agli astronomi di conoscere alcune proprietà come ad esempio la temperatura del gas. Questa emissione da particelle interagenti è nota come radiazione bremsstrahlung o “radiazione di frenatura”. È strettamente correlata al processo utilizzato negli strumenti di diagnostica medica a raggi X, in cui gli elettroni ad alta velocità vengono fermati da un bersaglio metallico e l’improvvisa decelerazione (frenata) causa l’emissione di quest’ultimi.

Radio gas!

Una delle più importanti realizzazioni e successive scoperte, in radioastronomia, fu che l’idrogeno, di gran lunga il gas più comune nell’Universo, poteva emettere ed assorbire radiazioni radio con una lunghezza d’onda di 21 cm. Misurare questa radiazione con i radiotelescopi ha aperto grandi opportunità per studiare i movimenti del gas sia all’interno che oltre la Via Lattea sfruttando l’effetto Doppler. Questi “autovelox” astronomici possono misurare il gas anche in regioni completamente oscurate alla vista nello spettro del visibile. Una delle principali applicazioni di questo studio è stata la misurazione delle masse di galassie a spirale. Questa proprietà fondamentale può essere derivata dalla velocità di rotazione del gas in orbita attorno alla galassia a un dato raggio.

L’idrogeno è il più semplice di tutti gli atomi ed è di gran lunga l’elemento più abbondante nell’Universo. L’atomo neutro (non ionizzato) è costituito da un solo protone e un singolo elettrone, ognuno dei quali ha quello che i fisici chiamano spin. Quando l’atomo è isolato e indisturbato, come nel caso dello spazio interstellare, avrà un protone e un elettrone i cui assi degli spin puntano in direzioni opposte (anti-parallelo). Anche il più lieve disturbo ad un atomo può far girare lo spin dell’elettrone in uno stato parallelo, un piccolo cambiamento di energia. Il passaggio al primo stato, o antiparallelo, avverrebbe dopo circa dieci milioni di anni per un atomo completamente isolato e determinerebbe l’emissione di un singolo fotone di radiazione radio di lunghezza d’onda di 21 cm. In pratica, le interazioni con altre particelle possono ridurre drasticamente questa lunga attesa, e naturalmente ci sono molti atomi di idrogeno nell’Universo. Quindi questa radiazione caratteristica è facilmente visibile con i radiotelescopi. Stimolato da Jan Oort, Hendrik van de Hulst nel 1944 predisse che il gas d’idrogeno poteva emettere questa radiazione mentre nel 1951 Purcell dell’Università di Harvard negli Stati Uniti osservò per la prima volta la linea spettrale di 21 cm dallo spazio. Da allora è diventato uno strumento fondamentale per la radioastronomia.

The Collision of M51 – National Radio Astronomy Observatory
Questa immagine della galassia a spirale M51, nota anche come Whirlpool Galaxy e il suo compagno NGC 5195 (in alto) è la combinazione delle osservazioni dell’emissione di idrogeno neutro (in blu) ottenute con il VLA telescope e con immagini a luce visibile dal Digital Sky Survey telescope.

Oggetti interessanti

Sebbene la radioastronomia sia stata costruita sullo studio della radiazione di sincrotrone da particelle energetiche, c’è un crescente interesse per l’emissione di onde radio provenienti da regioni grandi, ma molto fredde, dell’Universo. A volte chiamate nuvole molecolari, questi agglomerati di gas sono abbastanza freddi da contenere polveri e una miscela di molecole che trasmettono le loro firme identificative a lunghezze d’onda radio molto specifiche mentre si preparano a dare vita a nuove generazioni di stelle. Gran parte di questa radiazione termica proveniente da queste regioni fredde ricade nelle parti dello spettro radio – lunghezze d’onda di alcuni decimi di millimetro –  impossibili da captare da terra a causa dell’assorbimento da parte dell’atmosfera. Il veicolo spaziale Herschel dell’ESA è stato progettato per rendere possibili le osservazioni di queste lunghezze d’onda.

Calore da oggetti freddi?

Rilevare le radiazioni di calore da oggetti freddi suona un po’ strano. Ma è un’attività perfettamente legittima per un astrofisico. I corpi neri emettono radiazioni con un’intensità e uno spettro determinati in modo univoco dalla temperatura e dall’area della superficie di emissione. Una nuvola di gas davvero fredda, diciamo -240 C, irradierà uno spettro di corpo nero con un picco ad una lunghezza d’onda di circa un decimo di millimetro. Il cielo vuoto attorno alla nuvola apparirà più freddo di essa così il nostro telescopio, nel lontano infrarosso, vedrà una macchia luminosa su uno sfondo più scuro. Nell’universo distante, con uno redshift sopra i 3 o giù di lì, l’emissione diventerà accessibile ai telescopi sub millimetrici come l’ALMA.

La Nebulosa Testa di Cavallo in luce visibile (a sinistra) è ben definita ma l’area è scura. Alle lunghezze d’onda submillimetriche (a destra), la nuvola è chiara, ma l’immagine risulta sfocata. Idealmente, gli scienziati hanno maggiori informazioni combinando la nitidezza della sinistra con la chiarezza della destra.

Di solito in astronomia è più facile rilevare e studiare oggetti nel nostro vicinato cosmico piuttosto che sforzarsi di vedere quelli più deboli nelle parti più lontane dell’Universo. Quando proviamo a fare questo tipo di astronomia da terra, tuttavia, lo spostamento verso il rosso di oggetti molto distanti può aiutarci, spostando la radiazione di calore freddo in una parte dello spettro radio dove, almeno da siti di osservazione molto asciutti, l’atmosfera è trasparente . Questo spostamento consente l’uso di aree terrestri molto grandi dove ubicare telescopi nello spettro delle microonde. Queste aggregazioni sono molto più grandi rispetto agli strumenti che potremmo lanciare nello spazio. E questa è una delle giustificazioni primarie per la costruzione di siti come l’osservatorio di Cerro Llano de Chajnantor quello che ospita l’ALMA.

Nel terza parte parleremo del CMB. Vi starete chiedendo cos’è? Non siate impazienti, rispetto al tempo cosmico, il tempo fra un post e l’altro è una frazione infinitesimale…

L’universo nel radio e… I parte

Visto attraverso i radiotelescopi, il cielo è irriconoscibile per un astronomo che lavora principalmente nello spettro della luce visibile. Al posto delle stelle nella Via Lattea ci sono oggetti sparsi in tutto l’universo. Le fonti radio sono rare ma spesso intrinsecamente molto potenti, il che le rende visibili a grandi distanze. Le emissioni di queste galassie radio, quasar ed esplosioni stellari titaniche sono il risultato di particelle subatomiche immensamente energetiche che accelerano attraverso regioni di campi magnetici contorti. Questo processo è abbastanza diverso da quello che produce la radiazione di calore dalle superfici delle stelle e ci conduce nel cuore di alcune delle azioni più violentemente energetiche dell’Universo.

Oltre i limiti estremi della luce infrarossa, ci spostiamo nello spettro radio. Alle lunghezze d’onda più brevi (dell’ordine di un millimetro circa) abbiamo la banda soprannominata microonde, che sono comunemente utilizzate nei telefoni wireless. A lunghezze d’onda più lunghe lo spettro radio si estende per centimetri, metri ed oltre. Lo spettro radio è aperto e illimitato, nel senso che non esiste una lunghezza d’onda radio “più lunga”. Tuttavia, in termini pratici, basse energie e lunghezze d’onda estreme oltre un chilometro diventano molto difficili da generare o rilevare. Inizialmente gli astronomi non erano molto ottimisti riguardo alla possibilità di vedere anche gli oggetti che già conoscevano alle lunghezze d’onda radio. A partire dal 1932 e successivamente stimolata dallo sviluppo dei radar a scopo militare durante la prima guerra mondiale, la radioastronomia fu la prima grande escursione dell’umanità nell’universo nascosto. Le prime osservazioni radio portarono a realizzare che l’Universo poteva apparire molto diverso quando osservato attraverso nuovi “occhi” sintonizzati su una diversa radiazione rispetto a quella del visibile.

Risultato immagini per microwaves electromagnetic spectrum

Le onde radio a frequenza estremamente bassa (ELF) con lunghezze d’onda di decine di migliaia di chilometri sono di scarso interesse per i radioastronomi terrestri poiché sono completamente assorbite dalla ionosfera che rappresenta lo schermo delle particelle cariche che avvolge il nostro pianeta. I sottomarini, tuttavia, si affidano a loro per comunicare con il comando base. Quando raggiungiamo alcune decine di chilometri (VLF o Very Low Frequency), tuttavia, il cielo diventa trasparente e rimane tale fino a quando la lunghezza d’onda non scende al di sotto di un centimetro (SHF, Super High Frequency o microwave). I range millimetrici e sub-millimetrici sono afflitti dall’assorbimento dell’acqua presente nell’atmosfera, ma sono di grande interesse per gli astronomi poiché possono essere utilizzati per rilevare e misurare le enormi quantità di materiale freddo tra le stelle e in tutto l’Universo.

Il Sole fu presto identificato come una fonte discreta di onde radio e si scoprì che le poche altre sorgenti radio luminose erano visibili in regioni povere di stelle promettenti. L’obiettivo consisteva nell’abbinare queste fonti di radiazioni radio ad oggetti che erano già familiari agli astronomi nella luce visibile. Il problema era che i primi radiotelescopi, nonostante le loro dimensioni significative, non riuscivano a localizzare con precisione le posizioni delle sorgenti radio nel cielo. Poiché sarebbe difficile e costoso costruire un singolo radiotelescopio abbastanza grande da raggiungere la risoluzione necessaria, i costruttori di telescopi dovevano fare uno sforzo per capire come collegare antenne molto distanziate fra loro in modo da consentire di agire come un singolo telescopio più grande. La risultante tecnica dell’interferometria è oggi ampiamente utilizzata, specialmente alle lunghezze d’onda radio, per consentire l’imaging ad alta risoluzione usando array di radiotelescopi. Montando alcuni di questi sui satelliti, i telescopi in questi array possono anche essere separati da distanze maggiori del diametro della Terra. I primi interferometri consentirono l’identificazione di fonti misteriosamente poco appariscenti per le galassie dall’aspetto peculiare dei telescopi a luce visibile e gli apparenti resti di esplosioni stellari chiamate supernovae. Perché questi emettono quantità così abbondanti di radiazioni radio e così poca luce visibile?

Risultato immagini per radiotelescopio alma
La risoluzione di un telescopio è la capacità di distinguere i dettagli fini, nota anche come potere di risoluzione spaziale. Essa dipende in modo relativamente semplice sia dalla dimensione del telescopio sia dalla lunghezza d’onda della radiazione che sta visualizzando. Maggiore è il numero di lunghezze d’onda della luce che si adattano ad uno specchio o obiettivo del telescopio, maggiore è la risoluzione del telescopio stesso. Poiché le onde radio sono in genere 100000 volte più lunghe delle onde visibili, un radiotelescopio dovrebbe avere un diametro di circa 240 km per ottenere la stessa potenza di risoluzione di Hubble, che ha uno specchio di soli 2,4 metri di diametro.

Risultato immagini per arecibo observatory
Il radiotelescopio a piatto unico di Arecibo a Puerto Rico ha una larghezza impressionante di 305 metri, ma non raggiunge nulla di simile alla risoluzione raggiunta anche dal più piccolo telescopio a luce visibile. Inoltre, il piatto non può essere guidato ed è limitato all’osservazione di una stretta fascia di cielo. Tuttavia, in seguito ai primi esperimenti riusciti nel 1946 in Australia, gli astronomi hanno utilizzato la tecnica dell’interferometria per costruire array di telescopi che combinano i segnali in un modo che raggiunge la risoluzione (ma non l’area di raccolta) di uno strumento delle dimensioni pari alla massima separazione delle antenne. Utilizzando l’interferometria gli astronomi possono combinare le onde luminose di due telescopi allineando con precisione le creste e le depressioni dell’onda. Le più grandi matrici interferometriche combinano segnali provenienti da telescopi sparsi in tutto il mondo, che agiscono insieme come un unico strumento quasi delle dimensioni della Terra e in grado di accertare le posizioni delle fonti con una precisione straordinaria che va oltre i più grandi telescopi a luce visibile.

Radiazione di sincrotrone.

Il bagliore del cielo nel radio deriva da processi molto diversi da quelli osservati alle lunghezze d’onda visibili, infrarosse e ultraviolette. I processi termici del corpo nero non sono forti in questa parte dello spettro. La maggior parte delle sorgenti radio luminose sono siti di eventi violentemente energetici, come i buchi neri, in cui le particelle subatomiche cariche elettricamente vengono accelerate fino a quasi la velocità della luce. Sono i movimenti di queste particelle cariche in rapido movimento che generano più comunemente l’emissione nel radio.
Come suggerisce il termine radiazione elettromagnetica, gli effetti dei campi elettrici e magnetici sono strettamente correlati. Quando una particella carica come un elettrone o un protone si muove attraverso un campo magnetico, viene deviata e inviata su un percorso a spirale lungo le linee del campo magnetico. Questa carica oscillante cederà parte della sua energia all’emissione di radiazioni, in particolare alle lunghezze d’onda radio.
Alcuni dei primi dispositivi acceleratori di particelle costruiti dai fisici si chiamavano “sincrotroni”. Le onde radio emesse dalle particelle accelerate e la relativa perdita d’energia associata durante il movimento a spirale attraverso il campo magnetico dei dispositivi, diedero il nome di radiazione di sincrotrone. Sorprendentemente, l’Universo è pieno di molti sincrotroni cosmici su tutte le scale e il processo ben studiato sulla Terra ci consente di comprendere processi simili che si verificano in tutto l’Universo.

sincrotrone

crabnebula
La nebulosa del granchio è il residuo di una stella che è stata vista esplodere nell’anno 1054 dagli osservatori cinesi, un evento che ora chiamiamo supernova. La struttura estesa che vediamo ora, quasi mille anni dopo, è sorprendentemente simile quando viene ripresa con i radiotelescopi, i raggi infrarossi, la luce visibile e i raggi X. Questo perché le radiazioni che vediamo in tutte queste diverse lunghezze d’onda provengono dalla stessa meccanismo di elettroni ad alta velocità (e probabilmente anche elettroni di antimateria, chiamati positroni) a spirale in un campo magnetico aggrovigliato. Questo tipo di radiazione è chiamata radiazione di sincrotrone. Gli elettroni e i positroni più energetici emettono raggi X mentre quelli meno energetici possono irradiare onde radio. Quelli con energie intermedie si irradiano nel visibile e nell’infrarosso. Si ritiene che l’origine di queste particelle energetiche sia una pulsar o una stella di neutroni rimasta dopo l’esplosione della stella.

cygnus
Nei siti più energetici dell’Universo, la radiazione di sincrotrone può essere emessa attraverso l’intero spettro elettromagnetico e può anche essere vista con i telescopi nella gamma infrarossa, visibile, ultravioletta e dei raggi X. Il meccanismo di sincrotrone all’interno e attorno ai buchi neri in genere rappresenta le più potenti fonti radio nel cielo, come Cygnus A qui rappresentata.

 

Linee spettrali…

La rivoluzione della meccanica quantistica avvenuta agli inizi del ventesimo secolo, ha cambiato per sempre la nostra comprensione dell’universo, fornendoci meravigliosi strumenti per sondare la struttura della materia a grandi distanze. Le linee spettrali sono specifiche lunghezze d’onda della luce emesse o assorbite da qualsiasi atomo e/o molecola e possono essere paragonate a delle vere e proprie impronte digitali degli elementi. Identificando linee spettrali a noi note nelle stelle e/o galassie lontane, siamo in grado di determinare la loro composizione chimica e le proprietà fisiche come ad esempio la temperatura, la densità ed il movimento.

Uno dei principi della meccanica quantistica afferma che osservando l’universo su scala microscopica, troveremo che l’energia è composta da unità discrete o quanti. All’interno di un atomo le forze che costringono gli elettroni (aventi carica negativa) a ruotare attorno al nucleo contenente i protoni (aventi carica positiva) impongono determinate orbite legate a specifici livelli d’energia.

Livelli energetici dell’atomo

Questi livelli sono variabili e dipendono dall’elemento (quanti protoni e neutroni vi sono nel nucleo) e dal numero di elettroni orbitanti.

Nella vita quotidiana a volte recitiamo il detto “non si fa nulla a gratis” ed a livello atomico tale detto è legge! Quando un atomo assorbe energia (colpito ad esempio da un fotone), un elettrone che si trova ad orbitare ad un livello energetico basso, potrebbe fare quello che si chiama il salto quantico passando al livello energetico superiore. Al contrario, se un elettrone orbitante ad un livello energetico alto dovesse saltare ad uno più basso, emetterebbe un fotone avente la stessa quantità d’energia in modo da bilanciare la quantità energetica totale dell’atomo.

Poichè l’energia di un fotone è direttamente legata alla sua lunghezza d’onda, ogni salto quantico in un atomo e/o molecola corrisponde ad una precisa lunghezza d’onda della luce. Questa luce è nota come linea spettrale e rappresenta in modo preciso come dev’essere la lunghezza d’onda. Il termine venne coniato osservando le linee che apparvero in uno strumento chiamato spettrografo usato ancora oggi per misurare la composizione della luce.

Schema di principio di uno spettrografo

Le linee spettrali possono essere viste come linea d’emissione quando un elettrone passa da un livello energetico più alto ad uno più basso con relativa emissione di un fotone oppure come linea d’assorbimento quando un elettrone assorbe un fotone con la giusta lunghezza d’onda proveniente da una sorgente retrostante.

Fluorescenza o reimmissione è un termine comune usato per descrivere un processo in cui un fotone ad alta energia viene assorbito da un corpo che provvede alla sua trasformazione e reimmissione con valori energetici  più bassi e lunghezza d’onda maggiore.

Esempio di minerali fluorescenti che emettono luce visibile quando colpiti da luce ultravioletta.

Gli astrofisici utilizzano la loro conoscenza delle varie impronte digitali lasciate dalle linee spettrali, per identificare la composizione chimico fisica delle stelle e delle nebulose.

La bellezza dei colori di questa nebulosa è dovuta alla fluorescenza dei gas indotta dalla luce delle giovani e brillanti stelle presenti.

Nell’universo esistono altri processi esotici che creano luce, quando sono comparati con le nostre esperienze quotidiane. Ad esempio particelle come gli elettroni e i protoni che attraversano un campo magnetico si muoveranno oscillando in una forma a spirale e producendo in questo modo onde elettromagnetiche (radiazione di sincrotrone). Un altro processo esotico è la radiazione Bremsstrahlung emessa da particelle cariche quando subiscono una decelerazione. Questi processi sono particolarmente evidenti nella porzione radio dello spettro.

Produrre luce…

Il nostro universo è permeato di luce, ma da dove proviene? La radiazione elettromagnetica è formata da un sorprendente piccolo numero di fenomeni che mescolati fra loro producono il fantastico e variegato universo che osserviamo.

La luce è una serie di campi elettrici e magnetici oscillanti. Non dovrebbe sorprenderci che essa sia generata dal movimento e dalle transizioni di particelle cariche di elettricità. Se prendiamo un elettrone o un protone e lo agitiamo avanti e indietro inevitabilmente produrrà luce. Questa visione classica è resa leggermente complicata dalle leggi della meccanica quantistica, ma assieme governano i processi di base che ci aiutano ad interpretare cosa vediamo in qualsiasi parte nel nostro universo.

La maggior parte della luce nell’universo è originata da un processo curiosamente chiamato radiazione di corpo nero. Questo è lo spettro della luce che dipende dalla temperatura dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che possa essere una roccia, una persona, una stella o l’intero universo.

L’idea alla base del principio è semplice. Immaginiamo un oggetto che assorba perfettamente ogni fotone di luce che vi cada sopra. Esso dovrebbe essere assolutamente nero e la luce non dovrebbe essere riflessa da esso. Poichè i fotoni trasportano energia il corpo si surriscalderà come se continuasse ad assorbirne altri. Il solo modo che un oggetto ha per essere in equilibrio con il suo ambiente, consiste nell’emettere una quantità di energia pari a quella ricevuta. Tale radiazione viene chiamata “radiazione di corpo nero” ed è esclusivamente una funzione della temperatura dell’oggetto stesso.

La fisica che governa questo fenomeno è conosciuta come legge di Planck. Questa radiazione ha una forma consistente modellata dalla modifica della luminosità e della lunghezza d’onda, in funzione della variazione di temperatura del corpo nero. Incrementando la temperatura del corpo nero, il picco della luminosità si sposterà verso lunghezze d’onda corte o blu. Questo effetto viene descritto dalla legge di Wien.

Il nostro Sole con una temperatura di circa 5500 °C brilla nella parte gialla dello spettro. Le stelle più calde rispetto al nostro astro, brillano nella parte ultravioletta. Anche noi umani emettiamo radiazione di corpo nero. Con una temperatura media di 37 °C risultiamo brillanti alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, ma siamo di gran lunga troppo freddi per risplendere nello spettro del visibile.

La radiazione di corpo nero è onnipresente. E’ il bagliore del nostro Sole, l’incandescenza delle nostre lampadine, è emessa dagli esseri umani, dai pianeti e anche dalle fredde ed oscure nubi di polveri interstellari. Viene spesso descritta come radiazione termica ed è il termometro cosmico utilizzato dagli astronomi. Misurando lo spettro di un oggetto, misuriamo la sua temperatura effettiva anche se dista da noi milioni o miliardi di anni luce!

Vedere la luce invisibile…

Quando sfogliamo un album di fotografie i colori che vediamo sono una costante affidabile. Un cielo limpido sembrerà sempre blu e le foglie degli alberi saranno sempre verdi. La combinazione di rosso verde e blu, percepita dai nostri occhi, corrisponde al modo in cui la riproduciamo nei processi di stampa o nelle visualizzazioni sullo schermo. Questo processo può essere descritto e mostra i colori naturali così come vengono captati dal nostro occhio.

Ma come sappiamo l’universo di luce va ben oltre la sottile striscia del visibile. Il colore può prendere letteralmente un nuovo significato, riferendosi alle parti dello spettro invisibili ai nostri occhi, ma accessibili agli occhi della nostra tecnologia avanzata. Come possiamo mostrare le immagini della luce appartenente alle fasce invisibili?

Poichè i nostri occhi possono percepire solamente il rosso il verde ed il blu, queste sono obbligatoriamente le scelte a nostra disposizione quando cerchiamo di comporre un’immagine al di fuori dello spettro visibile. Il processo è molto semplice: si prendono le immagini provenienti dalle varie parti dello spettro e si compongono partendo dalla matrice dei tre colori fondamentali. Il risultato è un’immagine che mostra vividamente qualcosa che i nostri occhi da soli non sarebbero in grado di percepire.

In questa immagine vediamo a sinistra la galassia M51 nella banda visibile e a destra nella banda dell’infrarosso, grazie al telescopio spaziale Spitzer della NASA. Grazie ad immagini come questa si sono potute notare le sacche scure di polveri tra le braccia della spirale e studiare nel raffronto con altre immagini prese nelle altre bande la morfologia e la distribuzione dei gas e delle polveri all’interno della galassia stessa. L’immagine del telescopio Spitzer è composta da quattro colori della luce invisibile. Essa mostra l’emissione della luce da lunghezze d’onda diverse: 3.6 micron (blu), 4.5 micron (verde), 8.0 micron (rosso) e 5.8 micron (arancione).

In entrambe le immagini della galassia M51 sopra mostrate, possiamo cogliere i tre colori fondamentali che ci permettono di vederle. Ma mentre l’immagine a sinistra e a colori naturali, quella a destra è frutto di quella che viene chiamata mappatura rappresentativa dei colori. Storicamente queste immagini venivano definite a falsi colori. Ma il termine non esprime in modo corretto il meccanismo di mapping. Esso mostra le reali variazioni di colore attraverso l’intero spettro e la corrispondenza nei colori rappresentativi che possono essere percepiti dal nostro occhio.

In un universo con una moltitudine di lunghezze d’onda, i colori rappresentano un’inimmaginabile tavolozza per gli astronomi. Il rosso il verde ed il blu, possono significare cose differenti in immagini differenti, mostrandoci l’intero spettro e la bellezza esotica dell’universo stesso.

Se ci fermiamo a riflettere un momento, possiamo apprezzare ancor di più il linguaggio dei colori. Il linguaggio ci fornisce la legenda necessaria ad interpretare le differenti sfumature ed oggetti che possono emergere durante la visione di un’immagine. Conoscendo la mappatura permettiamo ai colori di fungere da guide non per appagare solamente il nostro gusto estetico ma ridestare ed accrescere la nostra curiosità scientifica. Questo trascende i limiti della nostra evoluzione biologica e della nostra esperienza, permettendoci di vedere un universo altrimenti invisibile.

Lo spettro…

Quando pensiamo allo spettro elettromagnetico, lo visualizziamo come una striscia di colori che vanno dal viola sino al rosso. Ma i colori visibili attraverso i nostri occhi sono solamente una piccola fetta dell’intero spettro elettromagnetico della luce. L’intero spettro si estende su una varietà di bande spettrali che non dobbiamo necessariamente pensare solo come semplice luce ma piuttosto come luce a differenti lunghezze d’onda. Gli scienziati suddividono l’intero spettro elettromagnetico in sette bande: radio, microonde, infrarossi, visibile, ultravioletti, raggi X ed infine raggi gamma. Queste suddivisioni sono puramente convenzionali e non sono precisamente definite dalla fisica. La natura ci fornisce uno spettro elettromagnetico continuo senza confini, ma noi umani per comodità preferiamo suddividere questo continuum in pezzi ed attribuire ad ognuno di essi un nome convenzionale.

Spettro elettromagnetico con evidenziata la banda del visibile

La lunghezza d’onda di un fotone di luce determina anche la sua energia e dove esso cadrà all’interno dello spettro. L’intero spettro si estende su una vasta gamma di lunghezze d’onda. Tipicamente le osservazioni vanno dalle centinaia di metri nella banda radio sino ad arrivare ai milionesimi di miliardesimo di metri della banda gamma (1 pm). E’ molto conveniente utilizzare differenti unità di misura delle onde all’interno delle differenti parti dello spettro. Le unità sono riportate nella tabella seguente.

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La banda radio viene utilizzata per le comunicazioni moderne (radio, TV, etc..) e questo chiacchierio moderno rende difficoltoso l’ascolto di deboli segnali provenienti dal cosmo.

Le microonde sono anch’esse utilizzate per le comunicazioni inclusa la telefonia mobile. Sono convenzionalmente suddivise nelle bande millimetriche e sub millimetriche. Noi gente comune conosciamo le microonde, che ci consentono di riscaldare i nostri cibi nei forni preposti. Questi sfruttano il fatto che le microonde sono altamente assorbite dall’acqua. Questa proprietà è molto importante e condiziona il nostro modo di osservare le microonde da terra oppure dallo spazio.

Gli infrarossi colmano il gap fra la luce visibile e le microonde. La luce nell’infrarosso è spesso concepita come la “radiazione di calore”. La percezione di calore che avvertiamo quando siamo accanto ad un oggetto caldo deriva dalla sua emissione di radiazione infrarossa.

La luce visibile costituisce quella fetta dello spettro elettromagnetico che possiamo osservare con i nostri occhi. E’ la banda più ristretta tra tutte ma è anche quella a noi più familiare.

La luce ultravioletta comincia oltre il blu e sulla terra è forse la più conosciuta per gli effetti abbronzanti che attribuiamo al nostro Sole.

I Raggi X sono al di là dell’ultravioletto e sono particolarmente energetici. Infatti un singolo fotone è in grado di penetrare molti materiali. Questa caratteristica è molto utile per sondare le strutture interne degli esseri viventi.

I Raggi gamma si trovano nella parte lontana dello spettro ed hanno lunghezze d’onda molto piccole. L’energia dei fotoni è talmente elevata che i suoi effetti risultano distruttivi. Possono danneggiare i circuiti elettronici e danneggiare la struttura del nostro DNA e in sufficienti quantità risultano letali. Solamente i fenomeni ad altissime energie nel nostro universo generano i raggi gamma.

Nel prossimo post vedremo la luce invisibile…

Cos’è la luce?

La comprensione di come vediamo i colori ci aiuta ad interpretare al meglio la nostra percezione della luce, ma rimane una domanda fondamentale. Cos’è la luce?

 

La luce come un’onda elettromagnetica

La natura della luce è stata oggetto di accesi dibattiti ai primordi della storia della scienza. Alla fine del XVII secolo, Christiaan Huygens sostenne la tesi che la luce aveva una natura ondulatoria. Tuttavia nei primi anni del XVIII secolo, Isaac Newton propose una teoria alternativa in cui affermava che la luce fosse composta da particelle. Questa visione divenne predominante per molto tempo.

Agli inizi del XIX secolo, gli esperimenti di Thomas Young e Augustin-Jean Fresnel dimostrarono che la luce mostra chiaramente la sua proprietà ondulatoria, producendo effetti simili alle onde che si formano sulla superficie dell’acqua. La risposta alla domanda sembrava più vicina che mai. Ma di che tipo d’onda è costituita la luce?

Nel tardo XIX secolo, James Clerk Maxwell formulò e scrisse le sue rivoluzionarie equazioni mostrando che i campi elettromagnetici ed elettrici sono due aspetti dello stesso fenomeno. La luce sembrò fosse un’onda composta dall’alternanza di campi elettrici e campi magnetici. Se siete interessati ad ammirare la bellezza e l’eleganza delle equazioni cliccate qui. Maxwell’s equations

 

Lunghezze d’onda della luce visibile

A questo punto sappiamo che la luce è un’onda elettromagnetica. La lunghezza dell’onda è la distanza tra due picchi o fra due ventri della stessa e viene comunemente indicata dalla lettera greca λ (lamba).

 

La lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi o due minimi di una funzione periodica.

La lunghezza d’onda misurata in nanometri (miliardesimi di metro) determina il colore della luce. Lunghezze d’onda corte (400-500 nm) corrispondono ai toni blu mentre lunghezze d’onda lunghe (600-700 nm) corrispondono ai toni rossi.

Che la luce fosse un’onda elettromagnetica sembrava irrefutabile, ma la sua natura corpuscolare era li per apparire. Nei primi anni del XX secolo, Albert Einstein fu in grado di spiegare alcuni risultati confusionari frutto di esperimenti dell’effetto fotoelettrico. Effetto che ancora oggi è alla base del funzionamento delle moderne celle fotovoltaiche. Einstein mostrò che la luce possedeva entrambe le proprietà corpuscolari ed ondulatorie. Questa bizzarria è nota come dualismo onda-corpuscolo. Divenne una delle fondamenta dell’emergente meccanica quantistica e valse il premio Nobel per la fisica nel 1921 ad Einstein. Quando studiamo la luce ci riferiamo spesso alle sue proprietà ondulatorie o corpuscolari in modo indipendente le une dalle altre ma non dobbiamo dimenticare che entrambe sono una parte fondamentale della luce stessa.

Ai giorni nostri le onde elettromagnetiche sono composte da pacchetti di particelle note come fotoni. Questi pacchetti definiscono l’energia trasportata all’interno della luce. La lunghezza d’onda e l’energia di un fotone sono correlate tra loro in un rapporto di proporzionalità inversa. A lunghezze d’onda corte corrisponde una maggiore energia mentre a lunghezze d’onda lunghe corrisponde minore energia.

Un’altra peculiarità della luce è la sua velocità: essa si muove attraverso lo spazio sempre alla stessa velocità indipendentemente dalla sua lunghezza d’onda e/o energia. Viaggia a 300.000 Km/sec. Nulla nell’universo può andare più veloce.

Nel prossimo post parleremo dello spettro elettromagnetico.

Il nostro è un universo di luce…

La luce che percepiamo con i nostri occhi ci fornisce la chiave per comprendere ciò che ci circonda. Possiamo definire cosa è solido e cosa è inconsistente, cosa è brillante e cosa è scuro, cosa è bello e cosa è brutto. Tutti questi concetti derivano dalle osservazioni visuali. Ma poiché il nostro modo di vedere è inestricabilmente legato alla natura del Sole, in un certo senso anche la nostra percezione estetica trova le sue radici più profonde nell’astronomia. Forse per questo non c’è da meravigliarsi se le immagini dell’universo possono innescare in ognuno di noi un senso di soggezione.

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I raggi solari al tramonto ci danno la sensazione che il nostro mondo sia inondato dalla luce

Ma la luce proveniente dal nostro universo contiene molte informazioni in più rispetto a quelle che possiamo osservare con i nostri occhi.

Come fanno i nostri occhi a percepire la luce e come si forma lo spettro dei colori? I nostri occhi sono dei rilevatori biologici di luce, che permettono al cervello di costruire le immagini che arrivano sotto forma di segnali direttamente dal nervo ottico. Gli occhi umani hanno tre tipi differenti di cellule sensibili ai colori che ci consentono di differenziare i tre colori fondamentali o primari della luce: il rosso, il verde ed il blu. Differenti combinazioni di queste tre tonalità primarie, formano l’intero spettro dei colori che possiamo vedere, tonalità che vanno dal pastello sino ad arrivare ai colori vivaci.

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I tre colori primari

Come si formano tutti gli altri colori che compongono lo spettro della luce visibile partendo dai tre colori primari? La risposta sta nelle combinazioni e nelle proporzioni. Coppie uguali dei colori primari producono i colori secondari dello spettro della luce. La coppia primaria formata dal rosso e dal verde, forma il giallo. La coppia verde e blu da vita al ciano mentre la coppia rosso e blu da vita al magenta. Le altre tonalità come ad esempio l’arancione o il viola nascono dalla variazione delle proporzioni delle coppie primarie.

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La creazione dei colori secondari

Se il rosso, il verde ed il blu sono presenti in eguali proporzioni, il colore risultante sarà il bianco. Diversamente, il nero è composto dalla completa assenza di quest’ultimi.

Alcune combinazioni di colori sono conosciute come additivi e sono il risultato degli stimoli dell’occhio umano durante il processo di mescolanza additiva di colori differenti.

La semplicità nella formazione e disposizione dei colori ci permette di poter riprodurre immagini utilizzando le tecniche di digitalizzazione. Qualsiasi immagine osserviamo, può essere scomposta in tre immagini con diversi livelli di grigio, ottenute catturando separatamente il rosso il verde ed il blu.

 

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Scomposizione di un’immagine sui livelli di grigio

Lo schermo di un televisore o un monitor di un computer utilizzano questa tecnica di scomposizione e ricombinazione dei colori per visualizzare le immagini.

E’ importante ricordare che queste interpretazioni dei colori appartiene alla natura stessa degli esseri umani. Il sistema a tre colori del nostro occhio è il risultato di un processo evolutivo. Processo che ci ha portati a vedere solamente una piccola porzione dello spettro elettromagnetico. Porzione che chiamiamo comunemente spettro nel visibile.

 

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La ruota dei colori

Provate a domandarvi: cos’è la luce? Lo vedremo nel prossimo post.