Una della cose più interessanti delle stelle è che cambiano colore e luminosità durante l’intero arco della loro esistenza. Tale esistenza ha diversi range che vanno da circa un milione di anni per stelle molto massicce a decine di miliardi di anni per le stelle più piccole come il nostro Sole. Più una stella è massiccia, più risulterà brillante nel cielo e più breve sarà la sua esistenza. Attorno all’anno 1910 il chimico ed astronomo danese Ejnar Hertzsprung e l’astronomo americano Henry Norris Russell fecero un enorme balzo in avanti nella comprensione dell’evoluzione stellare.
Il diagramma di Hertzsprung-Russel (H-R) è un particolare grafico in cui si rappresenta la magnitudine assoluta di alcune stelle in funzione della loro temperatura. Esso permette quindi di rappresentare contemporaneamente in uno schema, stelle di diversa dimensione, luminosità, temperatura ed età.

Sull’asse orizzontale troviamo la temperatura assoluta superficiale, o la classe spettrale, la quale è legata al colore della stella. Sull’asse verticale invece, c’è la magnitudine assoluta, che talvolta può essere sostituita con la luminosità. Scendendo nel grafico troveremo stelle sempre meno luminose. Le stelle inoltre sono posizionate in ordine crescente di dimensione dal basso verso l’alto, legate dalla relazione di diretta proporzionalità fra la massa e la luminosità di ciascuna di esse.
Esso rappresenta un’inestimabile strumento per l’astronomia stellare. Stelle della stessa massa (e in senso stretto, composizione chimica) tracciano lo stesso percorso, chiamato traccia evolutiva attraverso il diagramma. Stelle con differenti masse avranno tracce evolutive diverse. In questo modo i ricercatori possono estrarre informazioni considerevoli sulla massa e sull’evoluzione degli astri, conoscendo il colore e la luminosità di quest’ultimi.

Poniamoci ora una domanda legittima: ma, i colori che vediamo sono reali?
Il concetto di colore è molto soggettivo e dipende sia dai nostri occhi che dal processo utilizzato per ottenere le immagini. Ad esempio alcuni oggetti celesti presenti nell’immagine sopra riportata, sarebbero troppo deboli per poterli vedere molto chiaramente anche se li visitassimo utilizzando qualche tipo di nave spaziale futuristica. Una nebulosa che sembra essere debole ad occhio nudo dalla Terra risulterebbe altrettanto debole se fossimo più vicini, ma risulterebbe anche più grande. Certamente i colori potrebbero essere appena percepibili o invisibili, dal momento che i nostri occhi funzionano male in condizioni di scarsa illuminazione. Un’altra complicazione deriva dal modo in cui realizziamo le immagini. Molte di esse sono scattate utilizzando la luce proveniente da parti invisibili dello spettro. Per le immagini fatte ai raggi X, ultravioletti, infrarossi, etc…, i colori a noi familiari sono spesso assegnati in modo tale che la luce più rossa è rossa mentre la luce più blu è blu. Attraverso questi colori rappresentativi è possibile mappare la luce a noi invisibile per creare immagini che possiamo vedere ed apprezzare. Vi sono poi particolari immagini prese attraverso speciali filtri a banda stretta in grado di far passare solo una specifica lunghezza d’onda, pensati per indirizzare i singoli processi atomici e/o molecolari e fornire una visione diversa degli oggetti celesti.


Sovente queste immagini a colori migliorati sono codificate in un modo che potrebbe non rappresentare il colore appropriato, ma forniscono la massima qualità di informazioni.
C’è un caso speciale dove la radiazione invisibile può diventare visibile ai nostri occhi o almeno alle nostre fotocamere. La luce ultravioletta proveniente da oggetti molto distanti da noi ci raggiunge spostata nel campo del visibile. Una delle predizioni osservabili di un Universo in espansione è lo spostamento verso il rosso o redshift della radiazione elettromagnetica. Quando un’onda luminosa viaggia da una galassia distante verso la nostra, deve attraversare lo spazio-tempo che separa i due oggetti. Poiché lo spazio-tempo è in espansione anche la lunghezza d’onda della radiazione viene aumentata e il risultato netto è uno spostamento verso zone più rosse dello spettro elettromagnetico. Se ci spingiamo ad osservare le prime galassie del nostro giovane universo attorno ai 13 miliardi di anni, lo spostamento verso il rosso è talmente estremo che la radiazione delle stelle più calde con lo spettro tendente verso il blu, risulterà spostata nell’infrarosso rendendola invisibile ai nostri occhi ed ai nostri strumenti ottici. Questo è uno dei motivi per cui gli astronomi hanno un così disperatamente bisogno di telescopi sensibili alla radiazione infrarossa come ad esempio il telescopio spaziale Spitzer della NASA e, in futuro, il telescopio spaziale James Webb NASA/ ESA/CSA.



Questa vista di quasi 10.000 galassie è chiamata Hubble Ultra Deep Field. Include galassie di varie età, dimensioni, forme e colori. Le galassie più piccole, più rosse, circa 100, potrebbero essere tra le più distanti mai conosciute, esistenti quando l’universo aveva appena 800 milioni di anni. Le galassie più vicine, le più grandi, più luminose e ben definite a spirale e/o ellittiche esistono da quando l’Universo aveva compiuto il primo miliardo di anni. L’immagine ottenuta ha richiesto circa 800 esposizioni prese nel corso di 400 orbite attorno alla terra effettuate dal telescopio Hubble. La quantità totale del tempo di esposizione è stata di circa 11,3 giorni, nel periodo tra il 24 settembre del 2003 e il 16 gennaio 2004.