La nostra visione dalla terra…

L’astronomia è una scienza osservazionale. Tralasciando l’utilizzo delle sonde spaziali nel nostro sistema solare, non è possibile effettuare esperimenti in situ e le informazioni devono essere raccolte dai segnali luminosi provenienti dallo spazio attraverso i telescopi e misurate con l’ausilio di strumenti come camere CCD e spettrografi, che suddividono la luce nelle varie lunghezze d’onda di cui è composta per consentire uno studio più approfondito. La maggior parte dei telescopi osservano i cieli da terra, spesso dalle cime di montagne remote per minimizzare il disturbo atmosferico durante le fasi di screening degli oggetti celesti. Ma gli attuali telescopi di terra sono molto più che semplici strumenti ottici che catturano la luce proveniente dalle stelle e dalle galassie remote grazie ad enormi specchi.

Il telescopio apparve per la prima volta sulla scena nei primi anni del diciassettesimo secolo ad opera di Hans Lippershey. Il primo scienziato ad utilizzarlo per osservazioni astronomiche fu Galileo Galilei nel 1609. Fu il primo ad affermare che l’universo è scritto con il linguaggio matematico ed introdusse il metodo scientifico basato sulle annotazioni delle osservazioni, le catalogazioni e l’interpretazione dei dati raccolti. Descrisse tutti i fenomeni che potè osservare con il suo telescopio: dai crateri della luna alle lune di Giove sino ad arrivare alle macchie solari.

 

Galileo mostra al Doge di Venezia come utilizzare il telescopio.

Dopo Galileo, centinaia di osservatori sono stati costruiti in tutto il mondo e dal 1960 in poi anche nello spazio. Vi sono molti vantaggi in più osservando i cieli dallo spazio anzichè dalla terra. Ma vi sono anche degli svantaggi in termini economici per esempio e (eccezion fatta per il telescopio spaziale Hubble) l’impossibilità di provvedere alle riparazioni o aggiornamenti degli strumenti elettronici e/o ottici. Per questi motivi la ricerca sino ad oggi di siti terrestri con condizioni favorevoli alle osservazioni ha rappresentato il motivo principale per la costruzione degli attuali telescopi e per quelli che seguiranno nel prossimo futuro. Al progredire della tecnologia essi possono essere aggiornati con gli strumenti di ultima generazione. Operano principalmente nella luce visibile, nell’infrarosso e nelle lunghezze d’onda radio. Questi strumenti terrestri d’avanguardia lavorano assieme a quelli spaziali per rendere le ricerche sempre più avanzate nei vari campi dell’astronomia, dell’astrofisica e della cosmologia.

The Australian Radio Telescope Array

Nel prossimo post parleremo dei disturbi arrecati dalla nostra atmosfera durante le nostre osservazioni dei cieli.

Linee spettrali…

La rivoluzione della meccanica quantistica avvenuta agli inizi del ventesimo secolo, ha cambiato per sempre la nostra comprensione dell’universo, fornendoci meravigliosi strumenti per sondare la struttura della materia a grandi distanze. Le linee spettrali sono specifiche lunghezze d’onda della luce emesse o assorbite da qualsiasi atomo e/o molecola e possono essere paragonate a delle vere e proprie impronte digitali degli elementi. Identificando linee spettrali a noi note nelle stelle e/o galassie lontane, siamo in grado di determinare la loro composizione chimica e le proprietà fisiche come ad esempio la temperatura, la densità ed il movimento.

Uno dei principi della meccanica quantistica afferma che osservando l’universo su scala microscopica, troveremo che l’energia è composta da unità discrete o quanti. All’interno di un atomo le forze che costringono gli elettroni (aventi carica negativa) a ruotare attorno al nucleo contenente i protoni (aventi carica positiva) impongono determinate orbite legate a specifici livelli d’energia.

Livelli energetici dell’atomo

Questi livelli sono variabili e dipendono dall’elemento (quanti protoni e neutroni vi sono nel nucleo) e dal numero di elettroni orbitanti.

Nella vita quotidiana a volte recitiamo il detto “non si fa nulla a gratis” ed a livello atomico tale detto è legge! Quando un atomo assorbe energia (colpito ad esempio da un fotone), un elettrone che si trova ad orbitare ad un livello energetico basso, potrebbe fare quello che si chiama il salto quantico passando al livello energetico superiore. Al contrario, se un elettrone orbitante ad un livello energetico alto dovesse saltare ad uno più basso, emetterebbe un fotone avente la stessa quantità d’energia in modo da bilanciare la quantità energetica totale dell’atomo.

Poichè l’energia di un fotone è direttamente legata alla sua lunghezza d’onda, ogni salto quantico in un atomo e/o molecola corrisponde ad una precisa lunghezza d’onda della luce. Questa luce è nota come linea spettrale e rappresenta in modo preciso come dev’essere la lunghezza d’onda. Il termine venne coniato osservando le linee che apparvero in uno strumento chiamato spettrografo usato ancora oggi per misurare la composizione della luce.

Schema di principio di uno spettrografo

Le linee spettrali possono essere viste come linea d’emissione quando un elettrone passa da un livello energetico più alto ad uno più basso con relativa emissione di un fotone oppure come linea d’assorbimento quando un elettrone assorbe un fotone con la giusta lunghezza d’onda proveniente da una sorgente retrostante.

Fluorescenza o reimmissione è un termine comune usato per descrivere un processo in cui un fotone ad alta energia viene assorbito da un corpo che provvede alla sua trasformazione e reimmissione con valori energetici  più bassi e lunghezza d’onda maggiore.

Esempio di minerali fluorescenti che emettono luce visibile quando colpiti da luce ultravioletta.

Gli astrofisici utilizzano la loro conoscenza delle varie impronte digitali lasciate dalle linee spettrali, per identificare la composizione chimico fisica delle stelle e delle nebulose.

La bellezza dei colori di questa nebulosa è dovuta alla fluorescenza dei gas indotta dalla luce delle giovani e brillanti stelle presenti.

Nell’universo esistono altri processi esotici che creano luce, quando sono comparati con le nostre esperienze quotidiane. Ad esempio particelle come gli elettroni e i protoni che attraversano un campo magnetico si muoveranno oscillando in una forma a spirale e producendo in questo modo onde elettromagnetiche (radiazione di sincrotrone). Un altro processo esotico è la radiazione Bremsstrahlung emessa da particelle cariche quando subiscono una decelerazione. Questi processi sono particolarmente evidenti nella porzione radio dello spettro.

Produrre luce…

Il nostro universo è permeato di luce, ma da dove proviene? La radiazione elettromagnetica è formata da un sorprendente piccolo numero di fenomeni che mescolati fra loro producono il fantastico e variegato universo che osserviamo.

La luce è una serie di campi elettrici e magnetici oscillanti. Non dovrebbe sorprenderci che essa sia generata dal movimento e dalle transizioni di particelle cariche di elettricità. Se prendiamo un elettrone o un protone e lo agitiamo avanti e indietro inevitabilmente produrrà luce. Questa visione classica è resa leggermente complicata dalle leggi della meccanica quantistica, ma assieme governano i processi di base che ci aiutano ad interpretare cosa vediamo in qualsiasi parte nel nostro universo.

La maggior parte della luce nell’universo è originata da un processo curiosamente chiamato radiazione di corpo nero. Questo è lo spettro della luce che dipende dalla temperatura dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che possa essere una roccia, una persona, una stella o l’intero universo.

L’idea alla base del principio è semplice. Immaginiamo un oggetto che assorba perfettamente ogni fotone di luce che vi cada sopra. Esso dovrebbe essere assolutamente nero e la luce non dovrebbe essere riflessa da esso. Poichè i fotoni trasportano energia il corpo si surriscalderà come se continuasse ad assorbirne altri. Il solo modo che un oggetto ha per essere in equilibrio con il suo ambiente, consiste nell’emettere una quantità di energia pari a quella ricevuta. Tale radiazione viene chiamata “radiazione di corpo nero” ed è esclusivamente una funzione della temperatura dell’oggetto stesso.

La fisica che governa questo fenomeno è conosciuta come legge di Planck. Questa radiazione ha una forma consistente modellata dalla modifica della luminosità e della lunghezza d’onda, in funzione della variazione di temperatura del corpo nero. Incrementando la temperatura del corpo nero, il picco della luminosità si sposterà verso lunghezze d’onda corte o blu. Questo effetto viene descritto dalla legge di Wien.

Il nostro Sole con una temperatura di circa 5500 °C brilla nella parte gialla dello spettro. Le stelle più calde rispetto al nostro astro, brillano nella parte ultravioletta. Anche noi umani emettiamo radiazione di corpo nero. Con una temperatura media di 37 °C risultiamo brillanti alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, ma siamo di gran lunga troppo freddi per risplendere nello spettro del visibile.

La radiazione di corpo nero è onnipresente. E’ il bagliore del nostro Sole, l’incandescenza delle nostre lampadine, è emessa dagli esseri umani, dai pianeti e anche dalle fredde ed oscure nubi di polveri interstellari. Viene spesso descritta come radiazione termica ed è il termometro cosmico utilizzato dagli astronomi. Misurando lo spettro di un oggetto, misuriamo la sua temperatura effettiva anche se dista da noi milioni o miliardi di anni luce!

Vedere la luce invisibile…

Quando sfogliamo un album di fotografie i colori che vediamo sono una costante affidabile. Un cielo limpido sembrerà sempre blu e le foglie degli alberi saranno sempre verdi. La combinazione di rosso verde e blu, percepita dai nostri occhi, corrisponde al modo in cui la riproduciamo nei processi di stampa o nelle visualizzazioni sullo schermo. Questo processo può essere descritto e mostra i colori naturali così come vengono captati dal nostro occhio.

Ma come sappiamo l’universo di luce va ben oltre la sottile striscia del visibile. Il colore può prendere letteralmente un nuovo significato, riferendosi alle parti dello spettro invisibili ai nostri occhi, ma accessibili agli occhi della nostra tecnologia avanzata. Come possiamo mostrare le immagini della luce appartenente alle fasce invisibili?

Poichè i nostri occhi possono percepire solamente il rosso il verde ed il blu, queste sono obbligatoriamente le scelte a nostra disposizione quando cerchiamo di comporre un’immagine al di fuori dello spettro visibile. Il processo è molto semplice: si prendono le immagini provenienti dalle varie parti dello spettro e si compongono partendo dalla matrice dei tre colori fondamentali. Il risultato è un’immagine che mostra vividamente qualcosa che i nostri occhi da soli non sarebbero in grado di percepire.

In questa immagine vediamo a sinistra la galassia M51 nella banda visibile e a destra nella banda dell’infrarosso, grazie al telescopio spaziale Spitzer della NASA. Grazie ad immagini come questa si sono potute notare le sacche scure di polveri tra le braccia della spirale e studiare nel raffronto con altre immagini prese nelle altre bande la morfologia e la distribuzione dei gas e delle polveri all’interno della galassia stessa. L’immagine del telescopio Spitzer è composta da quattro colori della luce invisibile. Essa mostra l’emissione della luce da lunghezze d’onda diverse: 3.6 micron (blu), 4.5 micron (verde), 8.0 micron (rosso) e 5.8 micron (arancione).

In entrambe le immagini della galassia M51 sopra mostrate, possiamo cogliere i tre colori fondamentali che ci permettono di vederle. Ma mentre l’immagine a sinistra e a colori naturali, quella a destra è frutto di quella che viene chiamata mappatura rappresentativa dei colori. Storicamente queste immagini venivano definite a falsi colori. Ma il termine non esprime in modo corretto il meccanismo di mapping. Esso mostra le reali variazioni di colore attraverso l’intero spettro e la corrispondenza nei colori rappresentativi che possono essere percepiti dal nostro occhio.

In un universo con una moltitudine di lunghezze d’onda, i colori rappresentano un’inimmaginabile tavolozza per gli astronomi. Il rosso il verde ed il blu, possono significare cose differenti in immagini differenti, mostrandoci l’intero spettro e la bellezza esotica dell’universo stesso.

Se ci fermiamo a riflettere un momento, possiamo apprezzare ancor di più il linguaggio dei colori. Il linguaggio ci fornisce la legenda necessaria ad interpretare le differenti sfumature ed oggetti che possono emergere durante la visione di un’immagine. Conoscendo la mappatura permettiamo ai colori di fungere da guide non per appagare solamente il nostro gusto estetico ma ridestare ed accrescere la nostra curiosità scientifica. Questo trascende i limiti della nostra evoluzione biologica e della nostra esperienza, permettendoci di vedere un universo altrimenti invisibile.

Lo spettro…

Quando pensiamo allo spettro elettromagnetico, lo visualizziamo come una striscia di colori che vanno dal viola sino al rosso. Ma i colori visibili attraverso i nostri occhi sono solamente una piccola fetta dell’intero spettro elettromagnetico della luce. L’intero spettro si estende su una varietà di bande spettrali che non dobbiamo necessariamente pensare solo come semplice luce ma piuttosto come luce a differenti lunghezze d’onda. Gli scienziati suddividono l’intero spettro elettromagnetico in sette bande: radio, microonde, infrarossi, visibile, ultravioletti, raggi X ed infine raggi gamma. Queste suddivisioni sono puramente convenzionali e non sono precisamente definite dalla fisica. La natura ci fornisce uno spettro elettromagnetico continuo senza confini, ma noi umani per comodità preferiamo suddividere questo continuum in pezzi ed attribuire ad ognuno di essi un nome convenzionale.

Spettro elettromagnetico con evidenziata la banda del visibile

La lunghezza d’onda di un fotone di luce determina anche la sua energia e dove esso cadrà all’interno dello spettro. L’intero spettro si estende su una vasta gamma di lunghezze d’onda. Tipicamente le osservazioni vanno dalle centinaia di metri nella banda radio sino ad arrivare ai milionesimi di miliardesimo di metri della banda gamma (1 pm). E’ molto conveniente utilizzare differenti unità di misura delle onde all’interno delle differenti parti dello spettro. Le unità sono riportate nella tabella seguente.

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La banda radio viene utilizzata per le comunicazioni moderne (radio, TV, etc..) e questo chiacchierio moderno rende difficoltoso l’ascolto di deboli segnali provenienti dal cosmo.

Le microonde sono anch’esse utilizzate per le comunicazioni inclusa la telefonia mobile. Sono convenzionalmente suddivise nelle bande millimetriche e sub millimetriche. Noi gente comune conosciamo le microonde, che ci consentono di riscaldare i nostri cibi nei forni preposti. Questi sfruttano il fatto che le microonde sono altamente assorbite dall’acqua. Questa proprietà è molto importante e condiziona il nostro modo di osservare le microonde da terra oppure dallo spazio.

Gli infrarossi colmano il gap fra la luce visibile e le microonde. La luce nell’infrarosso è spesso concepita come la “radiazione di calore”. La percezione di calore che avvertiamo quando siamo accanto ad un oggetto caldo deriva dalla sua emissione di radiazione infrarossa.

La luce visibile costituisce quella fetta dello spettro elettromagnetico che possiamo osservare con i nostri occhi. E’ la banda più ristretta tra tutte ma è anche quella a noi più familiare.

La luce ultravioletta comincia oltre il blu e sulla terra è forse la più conosciuta per gli effetti abbronzanti che attribuiamo al nostro Sole.

I Raggi X sono al di là dell’ultravioletto e sono particolarmente energetici. Infatti un singolo fotone è in grado di penetrare molti materiali. Questa caratteristica è molto utile per sondare le strutture interne degli esseri viventi.

I Raggi gamma si trovano nella parte lontana dello spettro ed hanno lunghezze d’onda molto piccole. L’energia dei fotoni è talmente elevata che i suoi effetti risultano distruttivi. Possono danneggiare i circuiti elettronici e danneggiare la struttura del nostro DNA e in sufficienti quantità risultano letali. Solamente i fenomeni ad altissime energie nel nostro universo generano i raggi gamma.

Nel prossimo post vedremo la luce invisibile…

Cos’è la luce?

La comprensione di come vediamo i colori ci aiuta ad interpretare al meglio la nostra percezione della luce, ma rimane una domanda fondamentale. Cos’è la luce?

 

La luce come un’onda elettromagnetica

La natura della luce è stata oggetto di accesi dibattiti ai primordi della storia della scienza. Alla fine del XVII secolo, Christiaan Huygens sostenne la tesi che la luce aveva una natura ondulatoria. Tuttavia nei primi anni del XVIII secolo, Isaac Newton propose una teoria alternativa in cui affermava che la luce fosse composta da particelle. Questa visione divenne predominante per molto tempo.

Agli inizi del XIX secolo, gli esperimenti di Thomas Young e Augustin-Jean Fresnel dimostrarono che la luce mostra chiaramente la sua proprietà ondulatoria, producendo effetti simili alle onde che si formano sulla superficie dell’acqua. La risposta alla domanda sembrava più vicina che mai. Ma di che tipo d’onda è costituita la luce?

Nel tardo XIX secolo, James Clerk Maxwell formulò e scrisse le sue rivoluzionarie equazioni mostrando che i campi elettromagnetici ed elettrici sono due aspetti dello stesso fenomeno. La luce sembrò fosse un’onda composta dall’alternanza di campi elettrici e campi magnetici. Se siete interessati ad ammirare la bellezza e l’eleganza delle equazioni cliccate qui. Maxwell’s equations

 

Lunghezze d’onda della luce visibile

A questo punto sappiamo che la luce è un’onda elettromagnetica. La lunghezza dell’onda è la distanza tra due picchi o fra due ventri della stessa e viene comunemente indicata dalla lettera greca λ (lamba).

 

La lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi o due minimi di una funzione periodica.

La lunghezza d’onda misurata in nanometri (miliardesimi di metro) determina il colore della luce. Lunghezze d’onda corte (400-500 nm) corrispondono ai toni blu mentre lunghezze d’onda lunghe (600-700 nm) corrispondono ai toni rossi.

Che la luce fosse un’onda elettromagnetica sembrava irrefutabile, ma la sua natura corpuscolare era li per apparire. Nei primi anni del XX secolo, Albert Einstein fu in grado di spiegare alcuni risultati confusionari frutto di esperimenti dell’effetto fotoelettrico. Effetto che ancora oggi è alla base del funzionamento delle moderne celle fotovoltaiche. Einstein mostrò che la luce possedeva entrambe le proprietà corpuscolari ed ondulatorie. Questa bizzarria è nota come dualismo onda-corpuscolo. Divenne una delle fondamenta dell’emergente meccanica quantistica e valse il premio Nobel per la fisica nel 1921 ad Einstein. Quando studiamo la luce ci riferiamo spesso alle sue proprietà ondulatorie o corpuscolari in modo indipendente le une dalle altre ma non dobbiamo dimenticare che entrambe sono una parte fondamentale della luce stessa.

Ai giorni nostri le onde elettromagnetiche sono composte da pacchetti di particelle note come fotoni. Questi pacchetti definiscono l’energia trasportata all’interno della luce. La lunghezza d’onda e l’energia di un fotone sono correlate tra loro in un rapporto di proporzionalità inversa. A lunghezze d’onda corte corrisponde una maggiore energia mentre a lunghezze d’onda lunghe corrisponde minore energia.

Un’altra peculiarità della luce è la sua velocità: essa si muove attraverso lo spazio sempre alla stessa velocità indipendentemente dalla sua lunghezza d’onda e/o energia. Viaggia a 300.000 Km/sec. Nulla nell’universo può andare più veloce.

Nel prossimo post parleremo dello spettro elettromagnetico.

Il nostro è un universo di luce…

La luce che percepiamo con i nostri occhi ci fornisce la chiave per comprendere ciò che ci circonda. Possiamo definire cosa è solido e cosa è inconsistente, cosa è brillante e cosa è scuro, cosa è bello e cosa è brutto. Tutti questi concetti derivano dalle osservazioni visuali. Ma poiché il nostro modo di vedere è inestricabilmente legato alla natura del Sole, in un certo senso anche la nostra percezione estetica trova le sue radici più profonde nell’astronomia. Forse per questo non c’è da meravigliarsi se le immagini dell’universo possono innescare in ognuno di noi un senso di soggezione.

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I raggi solari al tramonto ci danno la sensazione che il nostro mondo sia inondato dalla luce

Ma la luce proveniente dal nostro universo contiene molte informazioni in più rispetto a quelle che possiamo osservare con i nostri occhi.

Come fanno i nostri occhi a percepire la luce e come si forma lo spettro dei colori? I nostri occhi sono dei rilevatori biologici di luce, che permettono al cervello di costruire le immagini che arrivano sotto forma di segnali direttamente dal nervo ottico. Gli occhi umani hanno tre tipi differenti di cellule sensibili ai colori che ci consentono di differenziare i tre colori fondamentali o primari della luce: il rosso, il verde ed il blu. Differenti combinazioni di queste tre tonalità primarie, formano l’intero spettro dei colori che possiamo vedere, tonalità che vanno dal pastello sino ad arrivare ai colori vivaci.

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I tre colori primari

Come si formano tutti gli altri colori che compongono lo spettro della luce visibile partendo dai tre colori primari? La risposta sta nelle combinazioni e nelle proporzioni. Coppie uguali dei colori primari producono i colori secondari dello spettro della luce. La coppia primaria formata dal rosso e dal verde, forma il giallo. La coppia verde e blu da vita al ciano mentre la coppia rosso e blu da vita al magenta. Le altre tonalità come ad esempio l’arancione o il viola nascono dalla variazione delle proporzioni delle coppie primarie.

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La creazione dei colori secondari

Se il rosso, il verde ed il blu sono presenti in eguali proporzioni, il colore risultante sarà il bianco. Diversamente, il nero è composto dalla completa assenza di quest’ultimi.

Alcune combinazioni di colori sono conosciute come additivi e sono il risultato degli stimoli dell’occhio umano durante il processo di mescolanza additiva di colori differenti.

La semplicità nella formazione e disposizione dei colori ci permette di poter riprodurre immagini utilizzando le tecniche di digitalizzazione. Qualsiasi immagine osserviamo, può essere scomposta in tre immagini con diversi livelli di grigio, ottenute catturando separatamente il rosso il verde ed il blu.

 

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Scomposizione di un’immagine sui livelli di grigio

Lo schermo di un televisore o un monitor di un computer utilizzano questa tecnica di scomposizione e ricombinazione dei colori per visualizzare le immagini.

E’ importante ricordare che queste interpretazioni dei colori appartiene alla natura stessa degli esseri umani. Il sistema a tre colori del nostro occhio è il risultato di un processo evolutivo. Processo che ci ha portati a vedere solamente una piccola porzione dello spettro elettromagnetico. Porzione che chiamiamo comunemente spettro nel visibile.

 

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La ruota dei colori

Provate a domandarvi: cos’è la luce? Lo vedremo nel prossimo post.

 

 

La fabbrica dei cappelli e i tunnel…

Ci muoviamo alla volta di Puna Pau, cava in un piccolo cratere conico alla periferia di Hanga Roa, nel sud ovest dell’isola di Pasqua. Puna Pau dà anche il nome ad una delle sette regioni del Parco nazionale di Rapa Nui. Puna Pau era l’unica fonte delle rocce rosse che il popolo Rapa Nui utilizzava per scolpire il pukao (cappello) messo sulle teste di alcuni moai.

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Le pietre rosse

La pietra rossa di Puna Pau è stata utilizzata anche per alcuni moai non standard, tra cui i Tukuturi e anche per alcuni petroglifi.

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Pukao di pietra rossa

Da notare la cavità scavata nella roccia che serviva per inserire il copricapo sulla testa del Moai. Nel sito archeologico vi sono circa una ventina di Pukao in buono stato di conservazione. Proseguiamo il nostro itinerario per ammirare le cave di Ana Te Pahu. Queste grotte erano usate dagli antichi indigeni di Rapa Nui come rifugi o nascondigli. Le grotte sono tunnel di lava in realtà vuoti che un tempo contenevano fiumi di lava fusa. Una volta scaricata la lava sono rimasti solamente i tunnel vuoti.

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All’interno dei tunnel vi è poca luce e molta umidità con l’acqua che gocciola dal soffitto soprattutto nella stagione delle piogge; si avverte una certa inquietudine ma la curiosità e la bellezza di questo complesso sotterraneo creato dalla natura prendono il sopravvento e ci lasciano stupiti e meravigliati da tanta beltà. Le volte delle grotte sono alte e non c’è bisogno di camminare chinati. Sono arcuate verso il basso e convergono verso il pavimento relativamente piatto. Senza dubbio in tempi antichi sono stati rimossi i detriti rocciosi più ingombranti ed oggi sono rimasti solamente i detriti più piccoli. Camminando s’incontrano pozze d’acqua stagnante e a causa della scarsa luce è consigliabile calzare scarpe da trekking perchè le profondità sono molto variabili.

Facciamo ritorno al nostro hotel e ci prepariamo per rientrare sulla terra ferma a Santiago del Cile per fare poi ritorno in Italia. Questa esperienza ci ha arricchito sotto ogni profilo. Abbiamo visitato luoghi incredibili e di rara bellezza, siamo passati dall’aridità del deserto sino alla rigogliosità della vegetazione della Valle dell Elqui. Abbiamo incontrato persone meravigliose che ci hanno fatto sentire parte integrante del loro tessuto sociale e non semplici turisti di passaggio. Stesso discorso vale per l’Isola di Pasqua vera perla oceanica come le migliaia di isole del Pacifico. Questo viaggio non resterà solamente un bel ricordo ma verrà sicuramente rivissuto da parte nostra in un futuro prossimo.

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Raffa & Carlo

Desideriamo ringraziare il Tour Operator “Tour 2000” di Ancona ed in particolare il Sig.re M.Savoia dell’agenzia viaggi “Alderan” di Roma per la professionalità e la pazienza dimostrate nell’assecondare le nostre richieste.

 

 

A caccia di Moai…

Dopo 5 ore di volo da Santiago sorvolando l’immenso Oceano Pacifico, atterriamo all’aeroporto di Mataveri sull’Isola di Pasqua.

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Aeroporto Mataveri
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Uscita verso l’isola

In puro stile Hawaiano ci attende la guida locale che ci fa indossare le tipiche ghirlande di fiori polinesiane.

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Il gesto di benvenuto

L’Isola di Pasqua è un’isola dell’Oceano Pacifico meridionale appartenente al Cile. Situata a 3.601 km a ovest delle coste del Cile e 2.075 km a est delle Isole Pitcairn, è una delle isole abitate più isolate del mondo. L’Isola di Pasqua è situata sulla dorsale pacifica dalla quale prende origine. La costa si abissa quindi rapidamente nei dintorni dell’isola fino a profondità che possono raggiungere i 3000 metri. A causa delle sue origini vulcaniche l’isola si è formata su di una base basaltica tipica per le dorsali oceaniche e non vanta quindi molte spiagge ma è invece caratterizzata per la maggior parte da ripide scogliere. La sua forma ricorda vagamente quella di un triangolo rettangolo, con una lunghezza massima di 24 chilometri e una larghezza massima di 13 chilometri. Le tre elevazioni principali sono date da tre coni di vulcani spenti, che sono il Rano Kau, il Maunga Puakatiki e il Maunga Terevaka. Quest’ultimo raggiunge un’altezza di 509 metri ed è pertanto il punto più elevato di tutta l’isola. Nella zona meridionale dell’isola si trovano infine tre isole minori (Motu Iti, Motu Kau Kau e Motu Nui) che invece sono disabitate. L’arcipelago più vicino all’Isola di Pasqua è l’arcipelago delle isole Austral, con le isole di Tubuai e Rapa. A causa della sua posizione l’Isola di Pasqua gode di un clima subtropicale con temperature medie che si aggirano intorno ai 21 gradi centigradi e con uno sbalzo termico quasi nullo tra una stagione e l’altra. L’isola è quindi esposta per la maggior parte dell’anno all’aliseo, che soffia in direzione nord est. Arriviamo al nostro albergo completamente immerso nella vegetazione locale.

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L’Isola di Pasqua con le sue sole 48 specie vegetali native è una tra le isole più povere di specie vegetali in tutta l’area del Sud Pacifico. L’isola infatti è situata in una zona lontana dalla costa e in tutta la sua storia geologica non ha mai goduto di un collegamento con la terraferma, mentre la maggior parte delle correnti oceaniche che interessano l’isola provengono da occidente e non portano pertanto semi dalla terraferma. Anche il contributo da parte delle specie di uccelli migratori che popolano l’isola è stato modesto. Posiamo i bagagli e facciamo un giro per vedere l’Oceano e le bellezze locali.

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Ocean landscape

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La storia dell’Isola di Pasqua è difficile da ricostruire in quanto mancano completamente fonti certe e i primi coloni non hanno lasciato documenti scritti ai quali fare riferimento, dato che questi popoli all’epoca della prima colonizzazione dell’isola non disponevano ancora di una scrittura. Per quanto riguarda l’origine della popolazione anche qui sorgono diverse controversie. Secondo Thor Heyerdahl, un fautore della tesi della colonizzazione a più ondate, la popolazione indigena doveva essere originaria dell’america del sud. Ciò nonostante va riconosciuto a Heyerdahl il merito di aver dimostrato che una colonizzazione dell’Isola di Pasqua sarebbe potuta avvenire anche dal Sud America. L’isola si doveva presentare come una immensa foresta di palme. La popolazione rimase numericamente modesta e sostanzialmente in equilibrio con le risorse naturali presenti. In seguito, però, nacque da parte degli abitanti la necessità di costruire i moai, il cui sistema di trasporto richiedeva notevoli quantità di legname. Cominciò pertanto un importante lavoro di disboscamento dell’isola che fu ulteriormente intensificato dopo il sensibile aumento della popolazione dovuto a nuovi sbarchi. La riduzione della risorsa forestale provocò un inasprimento dei rapporti sociali interni che sfociarono talora in violente guerre civili. Le condizioni di vita sull’isola divennero pertanto proibitive per la poca popolazione rimasta, in gran parte decimata dagli scontri interni e dai flussi emigratori. A spiegazione della precoce perdita di alberi dell’isola, oggi si sono portate avanti anche ipotesi riguardanti la possibile responsabilità dei ratti del tipo polinesiano che colonizzarono al seguito dei polinesiani attorno al 1500 oppure altri ratti che raggiunsero l’isola dopo il 1700 d.C., con gli sbarchi dei primi europei. L’assenza di predatori naturali, permise a questi piccoli mammiferi di moltiplicarsi a dismisura e, considerato che nella loro dieta alimentare entrarono immediatamente anche i semi di palma, si ritiene che abbiano potuto contribuire all’estinzione degli alberi dell’isola.

Andiamo a visitare il parco nazionale di Rano Raraku dove ammiriamo i primi siti archeologici dei Moai.

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La cava nei pressi di Rano Raraku è su una collina ed è dove vennero creati la maggior parte dei moai. I resti di questo vulcano hanno fornito le pietre per le statue ed è dove si possono ammirare le diverse fasi degli scavi assieme ad alcune figure rimaste incompiute. Vale la pena salire sul versante orientale del cratere, arrivare in cima e poi scendere all’interno. Il percorso sull’altro versante del cratere, dove si trova la maggior parte dei moai, porta a uno dei punti più spettacolari dell’isola. Rano Kau è quello che resta di un cono vulcanico e come Rano Raraku è pieno di acqua piovana e ha un aspetto soprannaturale e variegato davvero spettacolare.

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Ci spostiamo ora verso il sito più famoso dell’Isola di Pasqua. Rappresentato in migliaia di immagini è l’icona dell’isola stessa.

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Ahu Tonariki è il più grande altare (Ahu) mai costruito sull’isola ed è possibile ammirare sino a 15 Moai. Questo sito dona al visitatore immagini mozzafiato tra le più spettacolari dell’isola stagliandosi su un insenatura con rocce a picco sul mare.

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Proseguiamo verso il sito di Ahu Te Pito Kura dove si trova il più grande Moai mai trasportato dalla fucina di Rano Kau. E’ alto 10 metri ed è messo a faccia in giù.

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Nelle vicinanze del sito di Ahu Te Pito Kura si trova una pietra tonda con proprietà magnetiche portata da Hotu Matua leggendario primo colonizzatore e ariki mau (“capo supremo” o “re”) dell’Isola di Pasqua e antenato dei Rapa Nui. Il gruppo di Hotu Matua con le sue due canoe (o una singola canoa a doppio scafo) era composto da polinesiani della terra di Hiva (probabilmente le Isole Marchesi). Sbarcarono sulla spiaggia di Anakena spargendosi sull’isola, dividendosi in clan a seconda del figlio da cui discendevano e vivendo per oltre 1000 anni isolati sull’isola posta all’estremità sudorientale del triangolo polinesiano. La pietra rappresentava l’ombelico del mondo.

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Andiamo adesso alla spiaggia di Anakena una distesa di sabbia chiara circondata da palme ed a breve distanza da un paio di spettacolari siti archeologici. Il contesto è unico al mondo. Dopo un rinfrescante bagno, infatti, si può raggiungere il moai solitario di Ahu Ature Huki o Ahu Nau Nau con le sue fiere statue in tufo, a ricordo di una popolazione che ha lasciato tracce del suo passaggio attraverso un tipo di arte originale e unica.

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Finito il relax sulla bianca spiaggia, ritorniamo al nostro albergo e ci godiamo il tramonto mentre il sole scivola lentamente dietro l’oceano.

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Notte notte e alla prossima…

Osservatorio astronomico La Silla…

Dopo aver pernottato nell’igloo in PVC dell’astro hotel Elqui Domus, ripartiamo alla volta dell’osservatorio astronomico dell’ESO situato a La Silla. L’osservatorio si trova ai margini del Deserto di Atacama, a 600 km a nord di Santiago del Cile e a un’altitudine di 2400 metri slm. Come altri osservatori in questa zona, La Silla è situato lontano da sorgenti di inquinamento luminoso e, come l’Osservatorio del Paranal, sede del VLT, ha uno dei cieli notturni più bui della Terra. La Silla è una roccaforte dell’ESO sin dagli anni ’60. Qui l’ESO gestisce due telescopi della classe dei 4 metri, fra i più produttivi al mondo.

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Cancello d’accesso all’osservatorio

Lasciato il cancello per l’identificazione e l’accesso al sito, saliamo in macchina ed arriviamo dopo circa 10 minuti in cima a La Silla. Dopo una breve introduzione da parte della guida scientifica dell’ESO, iniziamo la visita dal telescopio NTT (New Technology Telescope) che ci attende con la sua imponenza in cima alla rampa.

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NTT sullo sfondo

Il New Technology Telescope da 3,58 metri (NTT) ha aperto nuove strade all’ingegneria e alla progettazione dei telescopi ed è stato il primo al mondo in cui lo specchio principale viene controllato da un computer (ottica attiva), una tecnologia sviluppata all’ESO e ora applicata alla maggior parte degli attuali grandi telescopi nel mondo.

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La cupola del telescopio NTT

 

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Lo specchio secondario da 0,875 metri
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Dettagli della camera CCD

Continuiamo la nostra visita all’interno della cupola che ospita il telescopio da 3,6 metri. Questo telescopio ospita ora il principale cercatore di pianeti extrasolari: HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher), uno spettrografo di precisione ineguagliabile.

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Telescopio da 3,6 m sullo sfondo

Sostiamo d’innanzi al maestoso telescopio attraversato dai raggi del sole che penetrano la cupola.

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Specchio secondario
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Dettaglio della montatura
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Scorcio in proiezione
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La gabbia di Cassegrain

Alla base del telescopio si trova la Cassegrain cage. All’interno di essa sono alloggiati gli spettrografi e altri strumenti. I primi tempi questa gabbia ospitava al suo interno l’astronomo osservatore. Oggi gli strumenti di controllo remoto hanno eliminato la necessità della presenza umana all’interno della gabbia stessa. Usciamo dalla cupola e in lontananza scorgiamo la nostra prossima meta: il telescopio submillimetrico  svedese.

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Telescopio submillimetrico

Questo radiotelescopio da 15 m di diametro, costruito nel 1987 è stato il primo della sua classe ad operare nell’emisfero australe. E’ stato dismesso nel 2003.

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Swedish telescope view

In passato è stato utilizzato per le osservazioni nella finestra della radiazione elettromagnetica delle onde submillimetriche di regioni del cielo quali il centro galattico e le nubi di Magellano.

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Scendiamo ora per la parte finale del nostro tour, visitando la control room ove remotamente vengono pilotati I telescopi presenti nel sito. Prima però gettiamo uno sguardo dall’alto dell’intero sito.

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La Silla landscape

Riprendiamo la macchina ed arriviamo al centro di controllo.

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La Silla control room

In questo stabile il personale scientifico e non ha a disposizione tutta una serie di strumenti a controllo remoto per governare tutti gli strumenti osservativi disponibili nel sito. La foto seguente mostra uno scorcio di un desk operativo dove astronomi, ingegneri ed operatori condividono lo spazio osservativo.

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La  Silla control desk

Al momento della nostra visita gli operatori dei telescopi stavano approntando le procedure propedeutiche alle osservazioni notturne che da li a poche ore sarebbero iniziate. Girando per la control room ci imbattiamo in questo avviso molto divertente.

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Compilate il mission report e ritirate la tazza come souvenir…

Un gadget divertente che viene donato ai ricercatori che adempiono alle procedure operative vigenti nel sito. La nostra visita si conclude qui e lasciamo l’osservatorio per far ritorno a La Serena, dove ci godiamo il tramonto sull’oceano e ci prepariamo alla prossima tappa. Ci rivediamo all’isola di Pasqua. Bye Bye…

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La Serena Ocean sunset

Se vi siete appassionati date uno sguardo a questo video dell’ESO che vi mostra l’osservatorio di La Silla…

https://www.youtube.com/watch?v=dyovbAlCIXU