Nel mondo quantistico anche i punti di vista sono incerti!

I sistemi di riferimento da cui gli osservatori osservano gli eventi quantistici possono a loro volta avere più possibili posizioni contemporaneamente: un’intuizione che potrebbe avere conseguenze importanti.

La natura quantistica dei sistemi di riferimento può addirittura influenzare l’ordine percepito degli eventi.

Immagina di essere in piedi su una banchina ferroviaria e di guardare un carrello che passa. Una ragazza sul carrello lascia cadere una palla rossa brillante. Per lei, la palla cade dritta verso il basso. Ma dalla banchina, vedi la palla percorrere un arco prima di colpire il pavimento del carrello. Voi due osservate lo stesso evento, ma da sistemi di riferimento diversi: uno ancorato al carrello e l’altro alla banchina.

L’idea dei sistemi di riferimento ha una lunga storia nella fisica classica: Isaac Newton, Galileo e Albert Einstein vi si affidarono per i loro studi sul moto. Un sistema di riferimento è essenzialmente un sistema di coordinate (un modo per specificare posizioni e tempi rispetto a un punto zero, o origine) che potrebbe essere a sua volta in movimento. Einstein utilizzò i sistemi di riferimento per sviluppare le sue teorie della relatività, che rivelarono che spazio e tempo non sono fondali fissi dell’universo, ma piuttosto entità elastiche che possono allungarsi, contrarsi e deformarsi.

Ma la fisica quantistica ha per lo più ignorato i sistemi di riferimento. Alice e Bob, gli osservatori fittizi in molti esperimenti di fisica quantistica, hanno in genere posizioni fisiche diverse, ma si presume che abbiano un sistema di riferimento comune. Ora le cose stanno cambiando. I fisici quantistici si stanno rendendo conto che non possono ignorare il fatto che il sistema di riferimento a cui è ancorata Alice (simile al carrello o alla piattaforma) potrebbe avere più posizioni possibili contemporaneamente; o che l’orologio che Bob sta usando per misurare il tempo potrebbe essere soggetto ad incertezza quantistica.

Nel mondo quantistico, i sistemi di riferimento dovrebbero anche essere descritti dal formalismo della teoria quantistica.

Il fisico Časlav Brukner dell’Istituto di Ottica Quantistica e Informazione Quantistica dell’Università di Vienna e i suoi colleghi hanno dimostrato che i sistemi di riferimento quantistici offrono una nuova prospettiva su fenomeni quantistici studiati da tempo, come la sovrapposizione e l’entanglement. I risultati hanno portato a sospettare che i sistemi di riferimento quantistici potrebbero aiutare a risolvere alcuni degli strani paradossi che emergono negli esperimenti mentali quantistici.

Ancora più ambiziosamente, Brukner e i suoi colleghi sperano che riflettere sulla logica dei sistemi di riferimento quantistici possa portare a nuove intuizioni sulla gravità quantistica, un programma di ricerca che tenta di portare la gravità sullo stesso piano teorico delle altre forze fondamentali.

Posizioni sfocate

Il concetto di sistemi di riferimento quantistici è stato introdotto per la prima volta nel 1984, ma più gruppi hanno ripreso l’idea intorno al 2019, innescando un’ondata di studi recenti. Le argomentazioni ci sfidano a cambiare il nostro modo di pensare a due proprietà quantistiche essenziali: la sovrapposizione, in cui un oggetto può trovarsi simultaneamente in più stati possibili, e l’entanglement, in cui particelle distinte condividono un unico stato quantistico, in modo tale che la misurazione di una di esse determini istantaneamente lo stato dell’altra, indipendentemente dalla distanza tra loro.

Per capire come consideriamo due sistemi di riferimento che chiameremo A e B. Supponiamo che l’origine di A sia ancorata a un oggetto quantistico che ha probabilità di trovarsi in varie posizioni. Dal punto di vista di B, la posizione di A è distribuita su una certa regione. Ma dal punto di vista di A, la distanza da B è distribuita. Sembra che B sia quello in sovrapposizione.

Cosa succede se anche B è ancorato a un oggetto quantistico che si trova in una sovrapposizione di due posizioni? Allora lo stato quantistico di A è ora distribuito in due modi diversi, a seconda delle possibili posizioni di B. Poiché determinare lo stato quantistico di B determina lo stato di A, A e B sono ora entangled.

Nell’esempio precedente, due proprietà essenziali dei sistemi quantistici – sovrapposizione ed entanglement – ​​risultano dipendere dal sistema di riferimento. Il messaggio principale è che molte delle proprietà che riteniamo molto importanti, e in un certo senso assolute, sono relazionali o relative.

Anche l’ordine degli eventi soccombe ai rigori dei sistemi di riferimento quantistici. Ad esempio da un sistema di riferimento, potremmo osservare il clic di un rivelatore che si verifica in un certo istante; ma da un sistema di riferimento diverso, il clic potrebbe risultare in una sovrapposizione di eventi avvenuti prima e dopo un altro evento. Che si osservi il clic come se si verificasse in un istante particolare o come se si verificasse in una sovrapposizione di diversi ordini di eventi, dipende dalla scelta del sistema di riferimento.

Trampolino di lancio verso la gravità

I ricercatori sperano di utilizzare queste mutevoli prospettive quantistiche per dare un senso alla natura enigmatica della gravità. La relatività generale di Einstein, che è una teoria classica della gravità, afferma che la gravità è la deformazione del tessuto dello spazio-tempo da parte di un oggetto massiccio. Ma come si deformerà lo spazio-tempo se l’oggetto stesso si trova in una sovrapposizione di due posizioni? È molto difficile rispondere a questa domanda con la fisica quantistica e la gravità tradizionali.

Passando ad un sistema di riferimento la cui origine è in una sovrapposizione, l’oggetto massiccio può finire in una posizione definita rendendo possibile calcolarne il campo gravitazionale. Trovando un sistema di riferimento quantistico conveniente, possiamo prendere un problema che non possiamo risolvere e trasformarlo in un problema per il quale possiamo semplicemente usare la fisica standard nota.

Tali cambiamenti di prospettiva dovrebbero essere utili per analizzare futuri esperimenti che mirano a mettere in sovrapposizione masse estremamente piccole: come ad esempio collocando due masse, ciascuna in una sovrapposizione di due posizioni e poi studiando come ciò influenzi i rispettivi campi gravitazionali.

I crescenti tentativi di descrivere formalmente i sistemi di riferimento quantistici, potrebbero contribuire a dare un senso a queste indagini sull’interazione tra gravità e teoria quantistica, un trampolino di lancio essenziale per una teoria della gravità quantistica.

I sistemi di riferimento quantistici possano essere fondamentali anche per chiarire i fondamenti della fisica quantistica. Qualche anno fa, è stato ideato un esperimento mentale quantistico che crea una contraddizione logica. Il paradosso risultante sembra implicare che i fisici debbano rinunciare ad almeno una delle tante nozioni ampiamente accettate sul nostro mondo, come ad esempio che la teoria quantistica sia universale e si applichi agli esseri umani così come agli atomi.

Tuttavia ora si sospetta che il paradosso sorga semplicemente perché i fisici non hanno tenuto conto attentamente dei sistemi di riferimento. Nessuno ha ancora capito come riscrivere questo o altri esperimenti mentali utilizzando sistemi di riferimento quantistici, ma farlo è molto probabile che ci conduca alla soluzione dei paradossi.

Non sarà facile, perché i sistemi di riferimento quantistici presentano molti problemi irrisolti. Ad esempio, con i sistemi di riferimento classici, se si cambia il punto di vista da un sistema all’altro, questa trasformazione è reversibile: si può tornare al punto di vista originale. Non è chiaro se questo sia attualmente universalmente possibile con i sistemi di riferimento quantistici.

Inoltre, a questo punto, non esiste un modo standard per definire e tradurre tra loro i sistemi di riferimento quantistici. Diversi gruppi di fisici hanno approcci diversi. Sembrano tutti ragionevoli a prima vista, ma non sono equivalenti tra loro.

Alla fine sistemi di riferimento quantistici potrebbero rivelarsi essenziali per dare un senso al mondo quantistico.

Perché il peso minuscolo dello spazio vuoto è un mistero così grande?

La quantità di energia che permea lo spazio vuoto sembra troppo piccola per essere spiegata senza un multiverso. Ma i fisici hanno almeno un’alternativa da esplorare.

L’idea controversa che il nostro universo sia solo una bolla casuale in un multiverso infinito e spumeggiante, nasce logicamente dalla caratteristica apparentemente più innocua della natura: lo spazio vuoto. Nello specifico, il seme dell’ipotesi del multiverso è l’inspiegabilmente minuscola quantità di energia infusa nello spazio vuoto – energia nota come energia del vuoto, energia oscura o costante cosmologica. Ogni metro cubo di spazio vuoto contiene solo la quantità di questa energia necessaria ad accendere una lampadina per 11 trilionesimi di secondo. “L’osso nella nostra gola”, come lo definì una volta il premio Nobel Steven Weinberg, è che il vuoto dovrebbe essere almeno un trilione di trilioni di trilioni di trilioni di trilioni di volte più energetico, a causa di tutta la materia e dei campi di forza che lo attraversano. In qualche modo gli effetti di tutti questi campi sul vuoto si equalizzano, producendo una placida immobilità.

Perché lo spazio vuoto è così vuoto?

Sebbene non conosciamo la risposta a questa domanda – il famigerato “problema della costante cosmologica” – l’estrema vacuità del nostro vuoto sembra necessaria per la nostra esistenza. In un universo permeato anche solo leggermente di questa energia gravitazionalmente repulsiva, lo spazio si espanderebbe troppo rapidamente perché strutture come galassie, pianeti o persone possano formarsi. Questa situazione così ben definita suggerisce che potrebbe esserci un numero enorme di universi , tutti con dosi diverse di energia del vuoto, e che abitiamo in un universo a energia straordinariamente bassa perché non potremmo trovarci in nessun altro luogo.

Alcuni scienziati si irritano per la tautologia del “ragionamento antropico” e detestano il multiverso perché non è testabile. Persino coloro che sono aperti all’idea del multiverso vorrebbero avere soluzioni alternative al problema della costante cosmologica da esplorare. Ma finora si è dimostrato quasi impossibile risolverlo senza un multiverso. “Il problema dell’energia oscura è così spinoso, così difficile, che non si hanno ancora una o due soluzioni”, ha affermato Raman Sundrum, fisico teorico dell’Università del Maryland.

Per capirne il motivo, consideriamo cos’è effettivamente l’energia del vuoto. La teoria della relatività generale di Albert Einstein afferma che materia ed energia indicano allo spazio-tempo come curvarsi e la curvatura dello spazio-tempo indica alla materia e all’energia come muoversi. Una caratteristica automatica delle equazioni è che lo spazio-tempo può possedere una propria energia – la quantità costante che rimane quando non c’è altro, che Einstein chiamò costante cosmologica. Per decenni, i cosmologi hanno ipotizzato che il suo valore fosse esattamente zero, dato il tasso di espansione ragionevolmente costante dell’universo e si sono chiesti perché. Ma poi, nel 1998, gli astronomi hanno scoperto che l’espansione del cosmo sta in realtà accelerando gradualmente, il che implica la presenza di un’energia repulsiva che permea lo spazio. Soprannominata energia oscura dagli astronomi, è quasi certamente equivalente alla costante cosmologica di Einstein. La sua presenza fa sì che il cosmo si espanda sempre più rapidamente, poiché, espandendosi, si forma nuovo spazio e la quantità totale di energia repulsiva nel cosmo aumenta.

Tuttavia, la densità dedotta di questa energia del vuoto contraddice ciò che la teoria quantistica dei campi, il linguaggio della fisica delle particelle, afferma sullo spazio vuoto. Un campo quantistico è vuoto quando non vi sono eccitazioni di particelle che lo attraversano. Ma a causa del principio di indeterminazione della fisica quantistica, lo stato di un campo quantistico non è mai certo, quindi la sua energia non può mai essere esattamente zero. Si pensi a un campo quantistico come costituito da piccole molle in ogni punto dello spazio. Le molle si muovono costantemente, perché si trovano sempre entro un intervallo incerto della loro lunghezza di massimo rilassamento. Sono sempre un po’ troppo compresse o allungate, e quindi sempre in movimento, possedendo energia. Questa è chiamata energia di punto zero del campo. I campi di forza hanno energie di punto zero positive, mentre i campi di materia ne hanno negative, e queste energie si sommano e si sottraggono all’energia totale del vuoto.

L’energia totale del vuoto dovrebbe essere all’incirca uguale al maggiore di questi fattori contributivi. (Immaginiamo di ricevere un regalo di 10.000 Euro; anche dopo aver speso 100 Euro o aver trovato 3 Euro sul divano, rimarranno comunque circa 10.000 Euro). Eppure, il tasso di espansione cosmica osservato indica che il suo valore è tra 60 e 120 ordini di grandezza inferiore ad alcuni dei contributi di energia di punto zero, come se tutti i diversi termini positivi e negativi si fossero in qualche modo annullati. Elaborare un meccanismo fisico per questa equalizzazione è estremamente difficile per due motivi principali.

In primo luogo, l’unico effetto dell’energia del vuoto è gravitazionale, quindi ridurla sembrerebbe richiedere un meccanismo gravitazionale. Ma nei primi istanti dell’universo, quando un tale meccanismo avrebbe potuto operare, l’universo era così piccolo fisicamente che la sua energia del vuoto totale era trascurabile rispetto alla quantità di materia e radiazione. L’effetto gravitazionale dell’energia del vuoto sarebbe stato completamente annullato dalla gravità di tutto il resto. Un meccanismo di feedback gravitazionale che regola con precisione l’energia del vuoto nelle condizioni dell’universo primordiale.

A complicare ulteriormente la situazione, i calcoli della teoria quantistica dei campi indicano che l’energia del vuoto avrebbe subito variazioni di valore in risposta ai cambiamenti di fase nell’universo in raffreddamento poco dopo il Big Bang. Ciò solleva la questione se l’ipotetico meccanismo che ha equalizzato l’energia del vuoto sia intervenuto prima o dopo che questi cambiamenti si fossero verificati.

E come avrebbe potuto il meccanismo conoscere l’entità dei loro effetti, per compensarli?

Finora, questi ostacoli hanno vanificato i tentativi di spiegare il peso minuscolo dello spazio vuoto senza ricorrere ad una lotteria del multiverso. Ma recentemente, alcuni ricercatori hanno esplorato una possibile strada: se l’universo non si fosse formato per esplosione, ma avesse invece rimbalzato, in seguito a una precedente fase di contrazione, allora l’universo in contrazione nel lontano passato sarebbe stato immenso e dominato dall’energia del vuoto. Forse un qualche meccanismo gravitazionale avrebbe potuto agire sull’abbondante energia del vuoto di allora, diluendola naturalmente nel tempo. Questa idea ha motivato i fisici Peter Graham, David Kaplan e Surjeet Rajendran a scoprire un nuovo modello di rimbalzo cosmico, sebbene non abbiano ancora dimostrato come avrebbe potuto funzionare la diluizione del vuoto nell’universo in contrazione.

Raphael Bousso ha definito il loro approccio “un tentativo molto valido” e “una lotta informata ed onesta con un problema significativo”. Ha però aggiunto che permangono enormi lacune nel modello e che “gli ostacoli tecnici per colmare queste lacune e farlo funzionare sono significativi. La costruzione è già una macchina di Rube Goldberg, e diventerà, nella migliore delle ipotesi, ancora più complicata quando queste lacune saranno colmate”. Lui ed altri sostenitori del multiverso considerano la loro risposta più semplice, al confronto.

Rube Goldberg machine

Come è nato il nostro Universo?

Intraprendiamo oggi un breve viaggio attraverso la storia primordiale del nostro cosmo.

L’universo era un posto molto affollato durante i primi tre minuti. Il cosmo così come lo vediamo oggi si è espanso da un minuscolo granello sino alle sue attuali dimensioni.

Sono apparse le particelle elementari; i protoni e i neutroni si sono combinati, formando i primi nuclei atomici andando a riempire l’universo con i precursori degli elementi che oggi troviamo in abbondanza nel cosmo.  

Grazie allo sviluppo di teorie intelligenti e alla conduzione di esperimenti con acceleratori di particelle, telescopi e satelliti, i fisici sono riusciti a riavvolgere la pellicola dell’universo di miliardi di anni fa e ad intravedere i dettagli dei primissimi momenti della storia della nostra casa cosmica. 

Siete pronti per iniziare il nostro viaggio? Ok, allacciate le cinture e andiamo!

L’epoca di Planck:
Tempo: < 10-44 sec.

Benvenuti all’epoca di Planck, che prende il nome dalla scala più piccola di misurazioni ad oggi possibili nella fisica delle particelle. Questa è attualmente lo strumento che gli scienziati possono utilizzare per avvicinarsi il più possibile all’inizio del tempo. 

I fisici teorici non sanno molto sui primissimi momenti dell’universo. Dopo che la teoria del Big Bang ha guadagnato popolarità, gli scienziati hanno pensato che nei primi momenti il ​​cosmo fosse al suo massimo calore e densità e che tutte e quattro le forze fondamentali (elettromagnetica, debole, forte e gravitazionale) fossero combinate in un’unica forza unificata.

Ma l’attuale quadro teorico principale per l’inizio del nostro universo non richiede necessariamente queste condizioni.

L’universo si espande:
Tempo: da 10-43 sec. a circa 10-36 sec.

In questa fase, gli scienziati ritengono che l’universo abbia subito un’espansione esponenziale superveloce, in un processo noto come inflazione

I fisici proposero per la prima volta la teoria dell’inflazione negli anni ’80 per ovviare alle carenze della teoria del Big Bang che, nonostante la sua popolarità, non riusciva a spiegare perché l’universo fosse così piatto e uniforme e perché le sue diverse parti avessero iniziato a espandersi simultaneamente. 

Durante l’inflazione, le fluttuazioni quantistiche potrebbero essersi allungate per produrre uno schema che in seguito ha determinato le posizioni delle galassie. Potrebbe essere stato solo dopo questo periodo di inflazione che l’universo è diventato una palla di fuoco calda e densa come descritto nella teoria del Big Bang.

Le particelle elementari nascono:
Tempo: ~10-36 sec.

Quando l’universo era ancora molto caldo, il cosmo era come un gigantesco acceleratore, molto più potente del Large Hadron Collider, che funzionava a energie estremamente elevate. In esso nacquero le particelle elementari che conosciamo oggi. 

Gli scienziati pensano che siano arrivate per prime le particelle esotiche, seguite da quelle più familiari, come elettroni, neutrini e quark. Non è da escludere che anche le particelle di materia oscura siano apparse durante questa fase del processo evolutivo. 

I quark si combinarono presto, formando i familiari protoni e neutroni, che sono collettivamente noti come barioni. I neutrini furono in grado di sfuggire a questo plasma di particelle cariche e iniziarono a viaggiare liberamente nello spazio, mentre i fotoni continuarono a essere intrappolati dal plasma.

Emergono i primi nuclei:
Tempo: da ~1 sec. a 3 min.

Gli scienziati ritengono che quando l’universo si raffreddò abbastanza da far cessare le violente collisioni, protoni e neutroni si aggregarono nei nuclei degli elementi leggeri (idrogeno, elio e litio), in un processo noto come nucleosintesi del Big Bang

I protoni sono più stabili dei neutroni, a causa della loro massa inferiore. Infatti, un neutrone libero decade con un’emivita di 15 minuti, mentre i protoni potrebbero non decadere affatto, per quanto ne sappiamo. 

Quindi, mentre le particelle si combinavano, molti protoni restavano spaiati.

Come conseguenza, l’idrogeno, formato dai protoni che non hanno mai trovato un partner, costituisce circa il 74% della massa della materia “normale” nel nostro cosmo.

Il secondo elemento più abbondante è l’elio, che costituisce circa il 24%, seguito da tracce di deuterio, litio ed elio-3 (elio con un nucleo di tre barioni). 

Gli scienziati sono stati in grado di misurare con precisione la densità dei barioni nel nostro universo. La maggior parte di queste misurazioni sono in linea con le stime dei teorici su quali dovrebbero essere le quantità, ma c’è un problema persistente: i calcoli del litio sono sbagliati di un fattore tre.

Potrebbe essere che le misurazioni siano sbagliate, ma potrebbe anche essere che qualcosa di cui non siamo ancora a conoscenza sia accaduto durante questo periodo di tempo per modificare l’abbondanza di litio.

La radiazione cosmica di fondo è visibile:
Tempo: 380.000 anni.

Centinaia di migliaia di anni dopo l’inflazione, la zuppa di particelle si era raffreddata abbastanza da permettere agli elettroni di legarsi ai nuclei per formare atomi elettricamente neutri. Attraverso questo processo, noto anche come ricombinazione, i fotoni divennero liberi di attraversare l’universo, creando il fondo cosmico a microonde.  

Oggi, la radiazione di fondo cosmico a microonde (CMB,CMBR) è uno degli strumenti più preziosi per i cosmologi, che ne esplorano le profondità alla ricerca di risposte a molti dei segreti più nascosti dell’universo, tra cui la natura dell’inflazione e la causa dell’asimmetria materia-antimateria.  

Poco dopo che la CMB divenne rilevabile, particelle di idrogeno neutro si formarono in un gas che riempì l’universo. Senza alcun oggetto che emettesse fotoni ad alta energia, il cosmo sprofondò nell’età oscura per milioni di anni. 

Le prime stelle brillano:
Tempo: ~100 milioni di anni.

L’epoca oscura terminò con la formazione delle prime stelle e con il verificarsi della reionizzazione, un processo attraverso il quale fotoni altamente energetici strapparono elettroni agli atomi di idrogeno neutri.

Gli scienziati pensano che la stragrande maggioranza dei fotoni ionizzanti sia emersa dalle stelle più antiche. Ma anche altri processi, come le collisioni tra particelle di materia oscura, potrebbero aver giocato un ruolo determinante.

In questo periodo, la materia iniziò a formare le prime galassie. La nostra galassia, la Via Lattea, contiene stelle nate quando l’universo aveva solo diverse centinaia di milioni di anni.

Il nostro sole è nato:
Tempo: 9.2 miliardi di anni.

Il sole è una delle poche centinaia di miliardi di stelle nella Via Lattea. Gli scienziati pensano che si sia formato da una gigantesca nube di gas composta principalmente da idrogeno ed elio.

Oggi:
Tempo: 13.8 miliardi di anni.

Oggi, il nostro cosmo si trova ad una temperatura fredda di 2.7 Kelvin (meno 270.42 gradi Celsius). L’universo si sta espandendo ad un ritmo crescente, in un modo simile (ma di molti ordini di grandezza più lento) all’inflazione.  

I fisici ritengono che sia molto probabilmente l’energia oscura, una misteriosa forza repulsiva che attualmente rappresenta circa il 70% dell’energia del nostro universo, a determinare questa espansione accelerata.

Rientriamo alla base:
Tempo: adesso.

Siamo finalmente ritornati alla nostra amata e bistrattata Terra! E al termine di questo nostro viaggio nel tempo, possiamo dire che, il nostro universo è una sinfonia di caos e ordine, di meraviglia e mistero, un luogo dove ogni cosa esiste per un istante eterno, sospesa nel vasto abbraccio dell’infinito.

Nel prossimo articolo, affronteremo il tema dell’inflazione cosmica. Stay tuned!

Il bosone che la fisica ha quasi rifiutato!

Peter Higgs (1929-2024)

Quando il 4 luglio 2012 i ricercatori del Large Hadron Collider annunciarono la scoperta del bosone di Higgs, il fisico Peter Higgs reagì alla rivendicazione del suo più importante lavoro teorico in modo tipicamente mite, dicendo: “È molto bello avere ragione a volte.

La scoperta ha innescato festeggiamenti globali nella comunità della fisica delle particelle. Fino ad allora il bosone di Higgs era l’unica particella del Modello Standard della fisica delle particelle che non era ancora stata misurata sperimentalmente.

Cercarlo è stata una motivazione chiave per costruire l’LHC e la domanda determinante per molti ricercatori di fisica delle particelle.

Il suo ritrovamento ha confermato le previsioni di vecchia data sulle particelle fondamentali e sulle forze che governano l’universo. 

La particella di Dio!

Il bosone di Higgs è una particella fondamentale nel Modello Standard della fisica delle particelle, e la sua massa è determinata sperimentalmente.

Il meccanismo di Higgs, che spiega come le particelle acquisiscono massa, coinvolge il campo di Higgs e la sua energia potenziale. L’energia potenziale del campo di Higgs è spesso rappresentata dalla seguente formula:

Dove:

(phi) rappresenta il campo di Higgs
(mu) & (lamba) sono costanti

Questa funzione di energia potenziale ha una forma a “cappello messicano” o “sombrero”, che porta alla rottura spontanea della simmetria e conferisce massa alle particelle attraverso le loro interazioni con il campo di Higgs.

Higgs potential

Nel 2024 la comunità dei fisici si è riunita di nuovo, questa volta per piangere la scomparsa di Higgs all’età di 94 anni.

Non era affatto vero che la particella prevista da Higgs sarebbe stata trovata durante la vita di Higgs.

La struttura matematica che implicava l’esistenza del bosone non specificava quale massa avrebbe posseduto, il che significa che i fisici avrebbero dovuto cercarlo ovunque in un ampio intervallo. 

Gli scienziati finalmente si sono concentrati su di esso 48 anni dopo che Higgs e altri ne avevano proposto l’esistenza. Nessun’altra particella fondamentale ha impiegato così tanto tempo per essere trovata.

Come afferma Reina Camacho Toro, fisica sperimentale delle particelle presso l’Università Paris Cité e il CERN, la storia decennale della previsione e del rilevamento del bosone di Higgs evidenzia “l’importanza di lavorare insieme, così come la comunicazione tra la comunità teorica e la comunità sperimentale”.

Manca il quadro più ampio

Nato a Newcastle upon Tyne, Higgs ha completato il dottorato di ricerca al Kings College di Londra e ha poi continuato le sue ricerche presso l’Università di Edimburgo. Lì pubblicò il suo articolo più famoso, nel 1964.

A quel tempo, il Modello Standard della fisica delle particelle non era ancora stato concepito. 

Standard model of particles

I fisici stavano ancora cercando di dare un senso al serraglio di particelle chiamate adroni che venivano continuamente scoperte nei primi esperimenti con acceleratori e raggi cosmici.

Non sapevano ancora che quelle particelle erano tutte combinazioni di un insieme molto più piccolo di particelle fondamentali, i quark, legate insieme dalla forza forte.

I fisici conoscevano la forza forte, che tiene insieme le particelle che compongono i nuclei degli atomi.

Conoscevano anche la forza debole, che avevano osservato svolgere il suo ruolo determinante nel decadimento radioattivo.

E la nuova teoria dell’elettrodinamica quantistica descriveva chiaramente il modo in cui le cariche elettriche e magnetiche si combinavano nell’interazione elettromagnetica. 

I fisici tentarono di trovare una teoria del campo analoga per combinare le forze forti e deboli, ma non riuscirono a realizzarla.

Il problema era legato alle particelle portatrici della forza debole, chiamate bosoni W e Z.

Mentre tutte le altre particelle portatrici di forza sono prive di massa, i bosoni W e Z non lo sono. 

I fisici non sono riusciti a capire perché i bosoni W e Z fossero diversi. Perché erano le uniche particelle portatrici di forza dotate di massa?

Le insolite particelle hanno rotto una simmetria in natura!

Nel 1964 Higgs pubblicò un articolo in cui spiegava come la simmetria avrebbe potuto essere rotta.

Per dirla in modo molto più semplice, immaginate che l’universo primordiale fosse riempito da un campo simmetrico ma instabile, responsabile di fornire masse di particelle che possono, con il tempo, stabilizzarsi in uno stato più stabile.

Questa trasformazione avrebbe potuto mantenere la simmetria matematica delle equazioni che spiegano le diverse forze, ma ha invece prodotto una differenza osservabile tra le particelle che trasportano quelle forze.

Il campo brevemente instabile, ora noto come campo di Higgs, ha reso possibile la presenza di enormi quantità di bosoni W e Z.

Higgs sviluppò ulteriormente le sue idee in un articolo successivo, in cui delineava quello che alla fine sarebbe stato riconosciuto come “il modello di Higgs“.

La rivista accademica Physics Letters inizialmente rifiutò l’articolo a causa della percepita mancanza di urgenza nel pubblicizzare la teoria.

Dopo aver ricevuto questa notizia, Higgs revisionò il documento. Attirò l’attenzione sulla possibilità che questo campo fosse associato ad un bosone massiccio a cui alludevano, anche in un articolo scritto, i fisici teorici Francois Englert e Robert Brout.

Il nuovo bosone sarebbe stato diverso da tutti gli altri: tutti avrebbero avuto una proprietà chiamata spin, mentre il nuovo bosone avrebbe avuto spin zero.

In questo modo Higgs, aveva dato ai fisici sperimentali un modo per dimostrare che la teoria era corretta. Non restava che aprire la caccia al nuovo bosone!

Physics Letters accettò l’articolo, ma ci vollero anni prima che la comunità di ricerca gli prestasse molta attenzione. 

Una scoperta enorme

La ricerca del bosone di Higgs ha occupato la fisica delle particelle per gran parte della seconda metà del ventesimo secolo e fino al ventunesimo secolo.

Tuttavia la sua scoperta è solo la prima scena nella storia della particella, con molti capitoli importanti ancora da scrivere. 

Anche i fatti fondamentali sulla particella devono ancora essere stabiliti, ad esempio se il bosone è una particella fondamentale o ha una struttura interna.

I fisici teorici sono oggi interessati ad approfondire l’accoppiamento trilineare di Higgs, una misurazione che fornirebbe informazioni cruciali su come i bosoni di Higgs vengono prodotti in coppia all’interno del Modello Standard.

Dal punto di vista sperimentale, l’enorme quantità di dati raccolti durante la seconda fase dell’LHC ha permesso agli esperimenti ATLAS e CMS del CERN di stabilire con precisione come l’Higgs si accoppia con particelle fondamentali come il quark top, il quark bottom e il leptone tau.

Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Come sottolinea Camacho Toro, “ci sono altri accoppiamenti che non abbiamo ancora osservato, come ad esempio gli accoppiamenti ai quark charm o gli accoppiamenti addirittura con gli elettroni o i muoni“.

Il bosone di Higgs continuerà a confermare le previsioni dei teorici o a costringerli a fornire nuove spiegazioni.

Tuttavia una cosa è certa: la ricerca sull’Higgs rimane un campo vivace, sia sul fronte sperimentale che su quello teorico.

The God particle!

Raggi Gamma: superare i limiti

I raggi gamma cadono all’estremità energetica più alta dello spettro elettromagnetico e si sovrappongono ai raggi X ad alta energia. Mentre i raggi X vengono emessi nei processi in cui gli elettroni effettuano transizioni da un livello energetico ad un altro, i raggi gamma vengono tipicamente emessi da transizioni che hanno luogo all’interno del nucleo atomico stesso o da particelle che vengono accelerate fino a energie molto elevate.

Raggi Gamma
Raggi X

L’astronomia a raggi gamma ci porta direttamente nella fisica più tagliente e violenta dell’Universo. Questi, come i raggi X, vengono in gran parte assorbiti dall’atmosfera. I primi dati provenivano dal satellite Explorer 11 lanciato nel 1961, che rilevò meno di 100 fotoni di raggi gamma, quanto basta per suggerire l’esistenza di uno sfondo di radiazioni di basso livello che gli scienziati attribuirono all’interazione di particelle cariche ad alta energia (raggi cosmici) con il gas del mezzo interstellare.
Singole sorgenti di raggi gamma furono osservate per la prima volta negli anni ’70, anche se confrontarle con oggetti visti in altre lunghezze d’onda fu molto difficile perché la risoluzione dei rilevatori di raggi gamma era molto scarsa. Ancora oggi circa la metà delle sorgenti di raggi gamma conosciute rimangono non classificate ed è un mistero, nonostante l’ottimo lavoro di osservatori veterani come il Compton Gamma Ray Observatory che ha osservato il cielo dei raggi gamma per quasi dieci anni dal 1991 al 2000.

Gamma Ray Burst

Brevi e intense esplosioni di raggi gamma, ora note per essere più luminose di un milione di trilioni di Soli, furono scoperte alla fine degli anni ’60 dai satelliti della difesa, alla ricerca di raggi gamma prodotti durante i test nucleari. Questi lampi di raggi gamma sono sorprendentemente comuni, con eventi rilevati due o tre volte alla settimana e sono stati oggetto di studi intensivi.
Le esplosioni possono durare da qualche millisecondo fino a un minuto, e si pensa che molte delle esplosioni più lunghe siano collegate a supernove ad altissima energia -a volte conosciute come ipernovae- ed al collasso di stelle luminose, a combustione rapida e di breve durata, vissute per formare buchi neri al termine della loro vita.
Il satellite BeppoSAX è riuscito ad identificare il “bagliore residuo” di alcuni di questi lampi di raggi gamma sotto forma di tracce di radiazioni di energia inferiore, sia raggi X o anche luce visibile che persistono dopo i lampi originali. Questo ha permesso agli astronomi di stabilire che le sorgenti di queste esplosioni si trovavano ben oltre il nostro gruppo locale di galassie, a distanze di otto miliardi di anni luce ed oltre.
Ulteriori progressi nella comprensione, e forse alcuni suggerimenti sul meccanismo dietro i lampi di raggi gamma più brevi e avvolti ancora nel mistero, sono arrivati ​​dal satellite Swift della NASA, lanciato nel 2004. SWIFT è in grado di fornire le coordinate ai telescopi a raggi X e a luce visibile su una nuova raffica di raggi gamma entro un minuto e in questo modo è riuscito a catturare una stella mentre esplode.

Le immagini del telescopio Swift negli spettri ultravioletti/ottici (bianco, viola) e ai raggi X (giallo e rosso) sono state combinate in questa vista di GRB 110328A. L’esplosione è stata rilevata solo dai raggi X, raccolti in un periodo di 3,4 ore il 28 marzo 2011.

Altri strumenti come INTEGRAL e il telescopio spaziale GLAST appena lanciati, così come il telescopio MAGIC nelle Isole Canarie, stanno inaugurando una rivoluzione nell’astronomia dei raggi gamma poiché la loro risoluzione e sensibilità migliorate, consentiranno agli astronomi di sondare i segreti dei buchi neri, delle stelle di neutroni ed altre sorgenti di raggi gamma.

Pulsar ad alta energia

I fotoni dei raggi X e dei raggi gamma possono essere in numero inferiore rispetto ai loro omologhi prodotti dagli altri livelli dello spettro, ma la loro capacità di illuminare gli oggetti più esotici e bizzarri dell’Universo li rende uno strumento inestimabile per gli astronomi

La rivoluzione dei raggi X e delle alte energie ha senza dubbio cambiato drasticamente la nostra visione dell’Universo grazie ai primi esperimenti di osservazione dei raggi X di provenienza extraterrestre.
Sono state scoperte migliaia di sorgenti di raggi X e numerosi altri oggetti caratterizzati da processi ad alta energia. Questi processi sono spesso associati alla “fisica estrema”: campi gravitazionali e magnetici estremamente forti che accelerano le particelle a energie relativistiche, gas riscaldato a temperature di centinaia di milioni di gradi e oggetti esotici come stelle di neutroni e buchi neri.
Le scale temporali sono spesso brevi, indicando oggetti molto compatti. Le alte energie e le corte lunghezze d’onda associate rendono le osservazioni dei raggi X lo strumento preferito per sondare la fisica delle stelle di neutroni, le vicinanze dei buchi neri e il gas caldo tra le galassie.
I raggi X ci hanno permesso di esplorare corone stellari attive e di individuare stelle molto calde associate alle enormi regioni di gas caldo note come “superbolle” che sono state presumibilmente riscaldate da intensi venti stellari. A caccia di buchi neri, è stato scoperto ed esplorato un enorme zoo esotico di stelle binarie a raggi X.
L’astronomia a raggi X rappresenta ancora lo strumento più promettente per studiare l’esistenza, le proprietà e gli effetti dei buchi neri nell’Universo . Osservando in notevole dettaglio i resti di supernova, le galassie e, non ultimo, i nuclei attivi delle galassie, si sono accumulate prove del fatto che queste galassie attive sono guidate da buchi neri supermassicci. Vengono affrontati anche altri enigmi. Gli studi a raggi X sugli ammassi di galassie hanno trovato nuove prove sull’esistenza della materia oscura e sulle sue proprietà.
All’estremità energetica più alta dello spettro elettromagnetico, nuovi telescopi spaziali come GLAST hanno dato all’astronomia dei raggi gamma nuovo impulso nella ricerca per comprendere i lampi di raggi gamma e individuare oggetti sfuggenti di raggi gamma in tutto l’Universo.

Immagine di Sagittarius A* il buco nero supermassiccio al centro della nostra Galassia, realizzata con la più lunga esposizione ai raggi X di quella regione fino ad oggi. Oltre a Sagittarius A* nella regione sono state rilevate più di duemila altre sorgenti di raggi X, rendendo questo uno dei campi più ricchi mai osservati.

Oltre la foto del secolo, alla ricerca dei semi…

Oggi voglio stuzzicare la vostra curiosità astronomica, parlando dell’origine dei buchi neri supermassicci esistiti ai primordi della storia cosmica.

Prima di iniziare il nostro viaggio, voglio consigliarvi la visione di un video di Alberto Bonato. Partendo dalla foto del secolo, che mostrava al mondo la prova tangibile dell’esistenza dei buchi neri, vi guida con una narrativa ed uno stile divulgativo molto semplice ed efficace alla comprensione di uno dei fenomeni più esotici dell’Universo. Il video lo potete vedere qui.

Here we go! Immaginiamo l’universo neonato. La maggior parte degli scienziati ritiene che lo spazio e il tempo abbiano avuto origine con il big bang. Da quell’inizio caldo e denso il cosmo si espanse e si raffreddò, ma ci volle un po’ prima che stelle e galassie iniziassero a popolare il cielo. Fu solo 380.000 anni circa dopo il big bang che gli atomi poterono rimanere coesi e riempire l’universo, per lo più di idrogeno. Quando il cosmo raggiunse un’età di alcune centinaia di milioni di anni, questo gas si radunò a formare le prime stelle, che costituirono ammassi che si riunirono in galassie, la più antica delle quali apparve 400 milioni di anni dopo la nascita dell’universo. Si è scoperto che, sorprendentemente, anche un’altra classe di oggetti astronomici cominciò ad apparire in quel periodo: i quasar.

I quasar sono oggetti estremamente luminosi alimentati da gas che cade in buchi neri supermassicci. Sono tra gli oggetti più brillanti dell’universo, visibili fino ai confini più remoti dello spazio. I quasar più distanti sono anche i più antichi, e quelli più vecchi in assoluto rappresentano un mistero. Per essere visibili a distanze incredibili, questi quasar devono essere alimentati da buchi neri con circa un miliardo di volte la massa del Sole. Le teorie sulla formazione e la crescita dei buchi neri prevedono che un buco nero abbastanza grande da alimentare questi quasar non si sarebbe potuto formare in meno di un miliardo di anni.

L'accecante luminosità dei quasar | by Michele Diodati | Spazio Tempo Luce  Energia

Nel 2001, tuttavia, con la Sloan Digital Sky Survey, gli astronomi hanno iniziato a rilevare quasar ancora più vecchi. Ad oggi il quasar più antico e più lontano conosciuto, P172+18, distante 13 miliardi di anni luce, esisteva appena 780 milioni di anni dopo il big bang. In altre parole, non sembra che ci sia stato abbastanza tempo nella storia dell’universo affinché si formassero quasar come questo.

Molti astronomi ritengono che i primi buchi neri, i cosiddetti semi di buchi neri, siano i resti delle prime stelle, i cadaveri rimasti dopo che le stelle sono esplose in supernove. La massa di questi resti stellari, però, non dovrebbe essere più grande di poche centinaia di masse solari. È difficile immaginare uno scenario in cui i buchi neri che alimentano i primi quasar siano cresciuti a partire da semi così piccoli.

Questi semi invece, si sarebbero formati direttamente dal gas. Vengono denominati buchi neri a collasso diretto (direct-collapse black hole, DCBH). Nell’ambiente giusto, questi buchi neri potrebbero essere nati con 104 o 105 masse solari poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang. Con questo vantaggio iniziale, avrebbero potuto facilmente arrivare a 109 o 1010 masse solari, producendo in questo modo gli antichi quasar che rendono perplessi gli astronomi da quasi due decenni.

I semi

I buchi neri sono oggetti astronomici enigmatici, aree in cui la gravità è così immensa che ha deformato lo spazio-tempo al punto che nemmeno la luce ne può sfuggire. Solo con la scoperta dei quasar, che permettono agli astronomi di vedere la luce emessa dalla materia che cade nei buchi neri, abbiamo avuto la prova che si trattava di oggetti reali e non solo di curiosità matematiche previste dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein. Si ritiene che la maggior parte dei buchi neri si formi quando stelle di massa molto elevata – quelle con più di dieci volte la massa del Sole – esauriscono il loro combustibile nucleare e iniziano a raffreddarsi e quindi a contrarsi. Alla fine la gravità prevale e la stella collassa, scatenando un’esplosione catastrofica, cioè una supernova, e lasciandosi dietro un buco nero.

Si presume che la maggior parte dei buchi neri che alimentano i primi quasar si fossero formati in questo modo. Potrebbero essere nati dalla scomparsa delle prime stelle dell’universo che riteniamo si siano formate quando il gas primordiale si raffreddò e si frammentò, circa 200 milioni di anni dopo il big bang. Queste stelle avevano probabilmente massa maggiore delle stelle nate in seguito nel cosmo, il che significa che avrebbero potuto lasciarsi dietro buchi neri pesanti anche diverse centinaia di masse solari. Inoltre è probabile che queste stelle si siano formate in ammassi densi, e quindi i buchi neri creati dalle loro morti si sarebbero fusi insieme, generando buchi neri di varie migliaia di masse solari. Anche buchi neri così grandi, però, sono ancora lontani dalla massa necessaria per alimentare gli antichi quasar.

Come si alimenta un buco nero?

La nostra conoscenza attuale della fisica suggerisce che esista una velocità di alimentazione ottimale, nota come limite di Eddington, a cui i buchi neri acquisiscono massa nel modo più efficiente. Un buco nero che si alimenta alla velocità di Eddington crescerebbe esponenzialmente, raddoppiando la massa ogni 107 anni circa. Per giungere a 109 masse solari, un seme di buco nero di dieci masse solari dovrebbe inghiottire stelle e gas ininterrottamente alla velocità di Eddington per un miliardo di anni. È difficile spiegare come un’intera popolazione di buchi neri possa nutrirsi continuamente in modo così efficiente. Anzi, se i primi quasar fossero derivati da semi di buco nero, avrebbero dovuto alimentarsi ancora più velocemente della velocità di Eddington.

Superare questo tasso è teoricamente possibile in circostanze speciali, in ambienti densi e ricchi di gas, e queste condizioni potrebbero essere state disponibili nell’universo delle origini, ma non sarebbero state comuni e sarebbero state di breve durata. Inoltre, una crescita eccezionalmente rapida può in realtà provocare un “soffocamento” in cui le radiazioni emesse potrebbero alterare e persino bloccare l’afflusso di massa al buco nero, fermandone la crescita. Date queste restrizioni, sembra che un’alimentazione eccessiva possa spiegare alcuni quasar anomali, ma non l’esistenza dell’intera popolazione osservata, a meno che quello che sappiamo attualmente sul limite di Eddington e del processo di alimentazione del buco nero, sia errato.

Queste argomentazioni rientrano in una più ampia rivoluzione della nostra capacità di studiare e comprendere tutte le masse dei buchi neri. Quando nel 2015 il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali, per esempio, si è riusciti a trovarne la sorgente in due buchi neri in collisione di 36 e 29 masse solari, i cugini leggeri dei buchi neri supermassicci che alimentano i quasar. Il progetto continua a rilevare onde provenienti da eventi simili, fornendo nuovi, incredibili dettagli su ciò che accade quando questi buchi neri si scontrano e deformano lo spazio-tempo che li circonda.

Il prossimo futuro ha in serbo molte rivelazioni: quello che sappiamo dei buchi neri sta per cambiare per sempre.

L’universo nel radio e… II parte

Continuiamo il nostro viaggio nello spettro elettromagnetico che al momento ci colloca nella regione delle radio frequenze.

Bremsstrahlung

Questo processo di generazione di radiofrequenza prevede interazioni dirette tra particelle cariche in rapido movimento. Le regioni di gas incandescente eccitate dalle stelle calde, in particolare le regioni che formano le stelle e le nebulose planetarie, sono avvolte da elettroni energetici e protoni che ronzano intorno ad alta velocità. A volte si avvicinano abbastanza l’un l’altro per essere deviati dall’interazione delle loro cariche elettriche. Il processo di deflessione provoca l’emissione di radiazioni che si vede spesso più chiaramente alle lunghezze d’onda nel radio e ai raggi X (sebbene possa essere visto anche in altre parti dello spettro). Le osservazioni di tale radiazione dalle regioni che formano le stelle consentono agli astronomi di conoscere alcune proprietà come ad esempio la temperatura del gas. Questa emissione da particelle interagenti è nota come radiazione bremsstrahlung o “radiazione di frenatura”. È strettamente correlata al processo utilizzato negli strumenti di diagnostica medica a raggi X, in cui gli elettroni ad alta velocità vengono fermati da un bersaglio metallico e l’improvvisa decelerazione (frenata) causa l’emissione di quest’ultimi.

Radio gas!

Una delle più importanti realizzazioni e successive scoperte, in radioastronomia, fu che l’idrogeno, di gran lunga il gas più comune nell’Universo, poteva emettere ed assorbire radiazioni radio con una lunghezza d’onda di 21 cm. Misurare questa radiazione con i radiotelescopi ha aperto grandi opportunità per studiare i movimenti del gas sia all’interno che oltre la Via Lattea sfruttando l’effetto Doppler. Questi “autovelox” astronomici possono misurare il gas anche in regioni completamente oscurate alla vista nello spettro del visibile. Una delle principali applicazioni di questo studio è stata la misurazione delle masse di galassie a spirale. Questa proprietà fondamentale può essere derivata dalla velocità di rotazione del gas in orbita attorno alla galassia a un dato raggio.

L’idrogeno è il più semplice di tutti gli atomi ed è di gran lunga l’elemento più abbondante nell’Universo. L’atomo neutro (non ionizzato) è costituito da un solo protone e un singolo elettrone, ognuno dei quali ha quello che i fisici chiamano spin. Quando l’atomo è isolato e indisturbato, come nel caso dello spazio interstellare, avrà un protone e un elettrone i cui assi degli spin puntano in direzioni opposte (anti-parallelo). Anche il più lieve disturbo ad un atomo può far girare lo spin dell’elettrone in uno stato parallelo, un piccolo cambiamento di energia. Il passaggio al primo stato, o antiparallelo, avverrebbe dopo circa dieci milioni di anni per un atomo completamente isolato e determinerebbe l’emissione di un singolo fotone di radiazione radio di lunghezza d’onda di 21 cm. In pratica, le interazioni con altre particelle possono ridurre drasticamente questa lunga attesa, e naturalmente ci sono molti atomi di idrogeno nell’Universo. Quindi questa radiazione caratteristica è facilmente visibile con i radiotelescopi. Stimolato da Jan Oort, Hendrik van de Hulst nel 1944 predisse che il gas d’idrogeno poteva emettere questa radiazione mentre nel 1951 Purcell dell’Università di Harvard negli Stati Uniti osservò per la prima volta la linea spettrale di 21 cm dallo spazio. Da allora è diventato uno strumento fondamentale per la radioastronomia.

The Collision of M51 – National Radio Astronomy Observatory
Questa immagine della galassia a spirale M51, nota anche come Whirlpool Galaxy e il suo compagno NGC 5195 (in alto) è la combinazione delle osservazioni dell’emissione di idrogeno neutro (in blu) ottenute con il VLA telescope e con immagini a luce visibile dal Digital Sky Survey telescope.

Oggetti interessanti

Sebbene la radioastronomia sia stata costruita sullo studio della radiazione di sincrotrone da particelle energetiche, c’è un crescente interesse per l’emissione di onde radio provenienti da regioni grandi, ma molto fredde, dell’Universo. A volte chiamate nuvole molecolari, questi agglomerati di gas sono abbastanza freddi da contenere polveri e una miscela di molecole che trasmettono le loro firme identificative a lunghezze d’onda radio molto specifiche mentre si preparano a dare vita a nuove generazioni di stelle. Gran parte di questa radiazione termica proveniente da queste regioni fredde ricade nelle parti dello spettro radio – lunghezze d’onda di alcuni decimi di millimetro –  impossibili da captare da terra a causa dell’assorbimento da parte dell’atmosfera. Il veicolo spaziale Herschel dell’ESA è stato progettato per rendere possibili le osservazioni di queste lunghezze d’onda.

Calore da oggetti freddi?

Rilevare le radiazioni di calore da oggetti freddi suona un po’ strano. Ma è un’attività perfettamente legittima per un astrofisico. I corpi neri emettono radiazioni con un’intensità e uno spettro determinati in modo univoco dalla temperatura e dall’area della superficie di emissione. Una nuvola di gas davvero fredda, diciamo -240 C, irradierà uno spettro di corpo nero con un picco ad una lunghezza d’onda di circa un decimo di millimetro. Il cielo vuoto attorno alla nuvola apparirà più freddo di essa così il nostro telescopio, nel lontano infrarosso, vedrà una macchia luminosa su uno sfondo più scuro. Nell’universo distante, con uno redshift sopra i 3 o giù di lì, l’emissione diventerà accessibile ai telescopi sub millimetrici come l’ALMA.

La Nebulosa Testa di Cavallo in luce visibile (a sinistra) è ben definita ma l’area è scura. Alle lunghezze d’onda submillimetriche (a destra), la nuvola è chiara, ma l’immagine risulta sfocata. Idealmente, gli scienziati hanno maggiori informazioni combinando la nitidezza della sinistra con la chiarezza della destra.

Di solito in astronomia è più facile rilevare e studiare oggetti nel nostro vicinato cosmico piuttosto che sforzarsi di vedere quelli più deboli nelle parti più lontane dell’Universo. Quando proviamo a fare questo tipo di astronomia da terra, tuttavia, lo spostamento verso il rosso di oggetti molto distanti può aiutarci, spostando la radiazione di calore freddo in una parte dello spettro radio dove, almeno da siti di osservazione molto asciutti, l’atmosfera è trasparente . Questo spostamento consente l’uso di aree terrestri molto grandi dove ubicare telescopi nello spettro delle microonde. Queste aggregazioni sono molto più grandi rispetto agli strumenti che potremmo lanciare nello spazio. E questa è una delle giustificazioni primarie per la costruzione di siti come l’osservatorio di Cerro Llano de Chajnantor quello che ospita l’ALMA.

Nel terza parte parleremo del CMB. Vi starete chiedendo cos’è? Non siate impazienti, rispetto al tempo cosmico, il tempo fra un post e l’altro è una frazione infinitesimale…

L’universo nel radio e… I parte

Visto attraverso i radiotelescopi, il cielo è irriconoscibile per un astronomo che lavora principalmente nello spettro della luce visibile. Al posto delle stelle nella Via Lattea ci sono oggetti sparsi in tutto l’universo. Le fonti radio sono rare ma spesso intrinsecamente molto potenti, il che le rende visibili a grandi distanze. Le emissioni di queste galassie radio, quasar ed esplosioni stellari titaniche sono il risultato di particelle subatomiche immensamente energetiche che accelerano attraverso regioni di campi magnetici contorti. Questo processo è abbastanza diverso da quello che produce la radiazione di calore dalle superfici delle stelle e ci conduce nel cuore di alcune delle azioni più violentemente energetiche dell’Universo.

Oltre i limiti estremi della luce infrarossa, ci spostiamo nello spettro radio. Alle lunghezze d’onda più brevi (dell’ordine di un millimetro circa) abbiamo la banda soprannominata microonde, che sono comunemente utilizzate nei telefoni wireless. A lunghezze d’onda più lunghe lo spettro radio si estende per centimetri, metri ed oltre. Lo spettro radio è aperto e illimitato, nel senso che non esiste una lunghezza d’onda radio “più lunga”. Tuttavia, in termini pratici, basse energie e lunghezze d’onda estreme oltre un chilometro diventano molto difficili da generare o rilevare. Inizialmente gli astronomi non erano molto ottimisti riguardo alla possibilità di vedere anche gli oggetti che già conoscevano alle lunghezze d’onda radio. A partire dal 1932 e successivamente stimolata dallo sviluppo dei radar a scopo militare durante la prima guerra mondiale, la radioastronomia fu la prima grande escursione dell’umanità nell’universo nascosto. Le prime osservazioni radio portarono a realizzare che l’Universo poteva apparire molto diverso quando osservato attraverso nuovi “occhi” sintonizzati su una diversa radiazione rispetto a quella del visibile.

Risultato immagini per microwaves electromagnetic spectrum

Le onde radio a frequenza estremamente bassa (ELF) con lunghezze d’onda di decine di migliaia di chilometri sono di scarso interesse per i radioastronomi terrestri poiché sono completamente assorbite dalla ionosfera che rappresenta lo schermo delle particelle cariche che avvolge il nostro pianeta. I sottomarini, tuttavia, si affidano a loro per comunicare con il comando base. Quando raggiungiamo alcune decine di chilometri (VLF o Very Low Frequency), tuttavia, il cielo diventa trasparente e rimane tale fino a quando la lunghezza d’onda non scende al di sotto di un centimetro (SHF, Super High Frequency o microwave). I range millimetrici e sub-millimetrici sono afflitti dall’assorbimento dell’acqua presente nell’atmosfera, ma sono di grande interesse per gli astronomi poiché possono essere utilizzati per rilevare e misurare le enormi quantità di materiale freddo tra le stelle e in tutto l’Universo.

Il Sole fu presto identificato come una fonte discreta di onde radio e si scoprì che le poche altre sorgenti radio luminose erano visibili in regioni povere di stelle promettenti. L’obiettivo consisteva nell’abbinare queste fonti di radiazioni radio ad oggetti che erano già familiari agli astronomi nella luce visibile. Il problema era che i primi radiotelescopi, nonostante le loro dimensioni significative, non riuscivano a localizzare con precisione le posizioni delle sorgenti radio nel cielo. Poiché sarebbe difficile e costoso costruire un singolo radiotelescopio abbastanza grande da raggiungere la risoluzione necessaria, i costruttori di telescopi dovevano fare uno sforzo per capire come collegare antenne molto distanziate fra loro in modo da consentire di agire come un singolo telescopio più grande. La risultante tecnica dell’interferometria è oggi ampiamente utilizzata, specialmente alle lunghezze d’onda radio, per consentire l’imaging ad alta risoluzione usando array di radiotelescopi. Montando alcuni di questi sui satelliti, i telescopi in questi array possono anche essere separati da distanze maggiori del diametro della Terra. I primi interferometri consentirono l’identificazione di fonti misteriosamente poco appariscenti per le galassie dall’aspetto peculiare dei telescopi a luce visibile e gli apparenti resti di esplosioni stellari chiamate supernovae. Perché questi emettono quantità così abbondanti di radiazioni radio e così poca luce visibile?

Risultato immagini per radiotelescopio alma
La risoluzione di un telescopio è la capacità di distinguere i dettagli fini, nota anche come potere di risoluzione spaziale. Essa dipende in modo relativamente semplice sia dalla dimensione del telescopio sia dalla lunghezza d’onda della radiazione che sta visualizzando. Maggiore è il numero di lunghezze d’onda della luce che si adattano ad uno specchio o obiettivo del telescopio, maggiore è la risoluzione del telescopio stesso. Poiché le onde radio sono in genere 100000 volte più lunghe delle onde visibili, un radiotelescopio dovrebbe avere un diametro di circa 240 km per ottenere la stessa potenza di risoluzione di Hubble, che ha uno specchio di soli 2,4 metri di diametro.

Risultato immagini per arecibo observatory
Il radiotelescopio a piatto unico di Arecibo a Puerto Rico ha una larghezza impressionante di 305 metri, ma non raggiunge nulla di simile alla risoluzione raggiunta anche dal più piccolo telescopio a luce visibile. Inoltre, il piatto non può essere guidato ed è limitato all’osservazione di una stretta fascia di cielo. Tuttavia, in seguito ai primi esperimenti riusciti nel 1946 in Australia, gli astronomi hanno utilizzato la tecnica dell’interferometria per costruire array di telescopi che combinano i segnali in un modo che raggiunge la risoluzione (ma non l’area di raccolta) di uno strumento delle dimensioni pari alla massima separazione delle antenne. Utilizzando l’interferometria gli astronomi possono combinare le onde luminose di due telescopi allineando con precisione le creste e le depressioni dell’onda. Le più grandi matrici interferometriche combinano segnali provenienti da telescopi sparsi in tutto il mondo, che agiscono insieme come un unico strumento quasi delle dimensioni della Terra e in grado di accertare le posizioni delle fonti con una precisione straordinaria che va oltre i più grandi telescopi a luce visibile.

Radiazione di sincrotrone.

Il bagliore del cielo nel radio deriva da processi molto diversi da quelli osservati alle lunghezze d’onda visibili, infrarosse e ultraviolette. I processi termici del corpo nero non sono forti in questa parte dello spettro. La maggior parte delle sorgenti radio luminose sono siti di eventi violentemente energetici, come i buchi neri, in cui le particelle subatomiche cariche elettricamente vengono accelerate fino a quasi la velocità della luce. Sono i movimenti di queste particelle cariche in rapido movimento che generano più comunemente l’emissione nel radio.
Come suggerisce il termine radiazione elettromagnetica, gli effetti dei campi elettrici e magnetici sono strettamente correlati. Quando una particella carica come un elettrone o un protone si muove attraverso un campo magnetico, viene deviata e inviata su un percorso a spirale lungo le linee del campo magnetico. Questa carica oscillante cederà parte della sua energia all’emissione di radiazioni, in particolare alle lunghezze d’onda radio.
Alcuni dei primi dispositivi acceleratori di particelle costruiti dai fisici si chiamavano “sincrotroni”. Le onde radio emesse dalle particelle accelerate e la relativa perdita d’energia associata durante il movimento a spirale attraverso il campo magnetico dei dispositivi, diedero il nome di radiazione di sincrotrone. Sorprendentemente, l’Universo è pieno di molti sincrotroni cosmici su tutte le scale e il processo ben studiato sulla Terra ci consente di comprendere processi simili che si verificano in tutto l’Universo.

sincrotrone

crabnebula
La nebulosa del granchio è il residuo di una stella che è stata vista esplodere nell’anno 1054 dagli osservatori cinesi, un evento che ora chiamiamo supernova. La struttura estesa che vediamo ora, quasi mille anni dopo, è sorprendentemente simile quando viene ripresa con i radiotelescopi, i raggi infrarossi, la luce visibile e i raggi X. Questo perché le radiazioni che vediamo in tutte queste diverse lunghezze d’onda provengono dalla stessa meccanismo di elettroni ad alta velocità (e probabilmente anche elettroni di antimateria, chiamati positroni) a spirale in un campo magnetico aggrovigliato. Questo tipo di radiazione è chiamata radiazione di sincrotrone. Gli elettroni e i positroni più energetici emettono raggi X mentre quelli meno energetici possono irradiare onde radio. Quelli con energie intermedie si irradiano nel visibile e nell’infrarosso. Si ritiene che l’origine di queste particelle energetiche sia una pulsar o una stella di neutroni rimasta dopo l’esplosione della stella.

cygnus
Nei siti più energetici dell’Universo, la radiazione di sincrotrone può essere emessa attraverso l’intero spettro elettromagnetico e può anche essere vista con i telescopi nella gamma infrarossa, visibile, ultravioletta e dei raggi X. Il meccanismo di sincrotrone all’interno e attorno ai buchi neri in genere rappresenta le più potenti fonti radio nel cielo, come Cygnus A qui rappresentata.

 

Linee spettrali…

La rivoluzione della meccanica quantistica avvenuta agli inizi del ventesimo secolo, ha cambiato per sempre la nostra comprensione dell’universo, fornendoci meravigliosi strumenti per sondare la struttura della materia a grandi distanze. Le linee spettrali sono specifiche lunghezze d’onda della luce emesse o assorbite da qualsiasi atomo e/o molecola e possono essere paragonate a delle vere e proprie impronte digitali degli elementi. Identificando linee spettrali a noi note nelle stelle e/o galassie lontane, siamo in grado di determinare la loro composizione chimica e le proprietà fisiche come ad esempio la temperatura, la densità ed il movimento.

Uno dei principi della meccanica quantistica afferma che osservando l’universo su scala microscopica, troveremo che l’energia è composta da unità discrete o quanti. All’interno di un atomo le forze che costringono gli elettroni (aventi carica negativa) a ruotare attorno al nucleo contenente i protoni (aventi carica positiva) impongono determinate orbite legate a specifici livelli d’energia.

Livelli energetici dell’atomo

Questi livelli sono variabili e dipendono dall’elemento (quanti protoni e neutroni vi sono nel nucleo) e dal numero di elettroni orbitanti.

Nella vita quotidiana a volte recitiamo il detto “non si fa nulla a gratis” ed a livello atomico tale detto è legge! Quando un atomo assorbe energia (colpito ad esempio da un fotone), un elettrone che si trova ad orbitare ad un livello energetico basso, potrebbe fare quello che si chiama il salto quantico passando al livello energetico superiore. Al contrario, se un elettrone orbitante ad un livello energetico alto dovesse saltare ad uno più basso, emetterebbe un fotone avente la stessa quantità d’energia in modo da bilanciare la quantità energetica totale dell’atomo.

Poichè l’energia di un fotone è direttamente legata alla sua lunghezza d’onda, ogni salto quantico in un atomo e/o molecola corrisponde ad una precisa lunghezza d’onda della luce. Questa luce è nota come linea spettrale e rappresenta in modo preciso come dev’essere la lunghezza d’onda. Il termine venne coniato osservando le linee che apparvero in uno strumento chiamato spettrografo usato ancora oggi per misurare la composizione della luce.

Schema di principio di uno spettrografo

Le linee spettrali possono essere viste come linea d’emissione quando un elettrone passa da un livello energetico più alto ad uno più basso con relativa emissione di un fotone oppure come linea d’assorbimento quando un elettrone assorbe un fotone con la giusta lunghezza d’onda proveniente da una sorgente retrostante.

Fluorescenza o reimmissione è un termine comune usato per descrivere un processo in cui un fotone ad alta energia viene assorbito da un corpo che provvede alla sua trasformazione e reimmissione con valori energetici  più bassi e lunghezza d’onda maggiore.

Esempio di minerali fluorescenti che emettono luce visibile quando colpiti da luce ultravioletta.

Gli astrofisici utilizzano la loro conoscenza delle varie impronte digitali lasciate dalle linee spettrali, per identificare la composizione chimico fisica delle stelle e delle nebulose.

La bellezza dei colori di questa nebulosa è dovuta alla fluorescenza dei gas indotta dalla luce delle giovani e brillanti stelle presenti.

Nell’universo esistono altri processi esotici che creano luce, quando sono comparati con le nostre esperienze quotidiane. Ad esempio particelle come gli elettroni e i protoni che attraversano un campo magnetico si muoveranno oscillando in una forma a spirale e producendo in questo modo onde elettromagnetiche (radiazione di sincrotrone). Un altro processo esotico è la radiazione Bremsstrahlung emessa da particelle cariche quando subiscono una decelerazione. Questi processi sono particolarmente evidenti nella porzione radio dello spettro.

Produrre luce…

Il nostro universo è permeato di luce, ma da dove proviene? La radiazione elettromagnetica è formata da un sorprendente piccolo numero di fenomeni che mescolati fra loro producono il fantastico e variegato universo che osserviamo.

La luce è una serie di campi elettrici e magnetici oscillanti. Non dovrebbe sorprenderci che essa sia generata dal movimento e dalle transizioni di particelle cariche di elettricità. Se prendiamo un elettrone o un protone e lo agitiamo avanti e indietro inevitabilmente produrrà luce. Questa visione classica è resa leggermente complicata dalle leggi della meccanica quantistica, ma assieme governano i processi di base che ci aiutano ad interpretare cosa vediamo in qualsiasi parte nel nostro universo.

La maggior parte della luce nell’universo è originata da un processo curiosamente chiamato radiazione di corpo nero. Questo è lo spettro della luce che dipende dalla temperatura dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che possa essere una roccia, una persona, una stella o l’intero universo.

L’idea alla base del principio è semplice. Immaginiamo un oggetto che assorba perfettamente ogni fotone di luce che vi cada sopra. Esso dovrebbe essere assolutamente nero e la luce non dovrebbe essere riflessa da esso. Poichè i fotoni trasportano energia il corpo si surriscalderà come se continuasse ad assorbirne altri. Il solo modo che un oggetto ha per essere in equilibrio con il suo ambiente, consiste nell’emettere una quantità di energia pari a quella ricevuta. Tale radiazione viene chiamata “radiazione di corpo nero” ed è esclusivamente una funzione della temperatura dell’oggetto stesso.

La fisica che governa questo fenomeno è conosciuta come legge di Planck. Questa radiazione ha una forma consistente modellata dalla modifica della luminosità e della lunghezza d’onda, in funzione della variazione di temperatura del corpo nero. Incrementando la temperatura del corpo nero, il picco della luminosità si sposterà verso lunghezze d’onda corte o blu. Questo effetto viene descritto dalla legge di Wien.

Il nostro Sole con una temperatura di circa 5500 °C brilla nella parte gialla dello spettro. Le stelle più calde rispetto al nostro astro, brillano nella parte ultravioletta. Anche noi umani emettiamo radiazione di corpo nero. Con una temperatura media di 37 °C risultiamo brillanti alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, ma siamo di gran lunga troppo freddi per risplendere nello spettro del visibile.

La radiazione di corpo nero è onnipresente. E’ il bagliore del nostro Sole, l’incandescenza delle nostre lampadine, è emessa dagli esseri umani, dai pianeti e anche dalle fredde ed oscure nubi di polveri interstellari. Viene spesso descritta come radiazione termica ed è il termometro cosmico utilizzato dagli astronomi. Misurando lo spettro di un oggetto, misuriamo la sua temperatura effettiva anche se dista da noi milioni o miliardi di anni luce!